Giovanni Soldini, la lunga storia del simbolo della vela oceanica italiana
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Nel 1995 il premio del Velista dell’Anno toccò a Giovanni Soldini, classe 1966, che all’epoca stava per conquistare l’argento alla BOC Challenge (giro del mondo in solitario a tappe) ed era lì lì per salire alla ribalta. Ne approfittiamo per raccontarvi nel dettaglio la storia del più famoso marinaio d’Italia (l’unico italiano, ad oggi, ad aver vinto un giro del mondo in solitario, nel 1999), che ancora oggi è in grado di scaldare le folle fendendo gli oceani con il suo maxi-trimarano volante Maserati.
GIOVANNI SOLDINI, L’INSTANCABILE
Tratto da Il Giornale della Vela del Settembre 2013. Giovanni Soldini può vantare l’onore di essere stato soggetto di una delle più celebri e riuscite battute di Gianni Agnelli: “E’ l’unico uomo al mondo capace di trovare una donna anche in mezzo all’oceano”, disse di lui l’Avvocato dopo che il navigatore milanese, oggi 47enne, aveva recuperato la velista francese Isabelle Autissier, naufragata nel “deserto” del Pacifico del sud. Era il 16 febbraio del 1999 e, a bordo dell’Open 60 Fila, Soldini era impegnato nella terza tappa dell’Around Alone, la regata attorno al mondo in solitario, da Auckland (Nuova Zelanda) a Punta del Este (Uruguay).
IL CELEBRE SALVATAGGIO DI ISABELLE AUTISSIER
Mentre si concedeva un po’ di riposo in comode planate al lasco, i due suoi diretti avversari, i francesi Marc Thiercelin e Isabelle Autissier, navigavano tre gradi di latitudine più a sud. Ma Soldini fu improvvisamente travolto da una valanga di messaggi che lo avvisavano della richiesta di soccorso lanciata dalla navigatrice francese che, con il suo PRB, si era ribaltata a causa di una strapoggia provocata da un errore del pilota automatico e non riusciva più a raddrizzare la barca. Il salvataggio di Isabelle Autissier è ancora oggi considerato uno dei capitoli più felici nella storia della marineria e delle regate oceaniche, perché Giovanni Soldini la trovò, dentro la sua barca rovesciata, a 55° di latitudine sud e 125° di longitudine ovest, ovvero in mezzo al nulla, distante 2400 miglia dalle coste neozelandesi e 1800 miglia dal Sudamerica.
Per avvisarla del suo arrivo, dopo averle girato intorno un paio di volte e provato a chiamarla a gran voce, dovette lanciare un martello sul suo scafo. Solo allora, sentito il botto, Isabelle Autissier uscì dal suo PRB con la tuta di sopravvivenza e salì a bordo di Fila. La “strana coppia” doppiò Capo Horn (che per entrambi fu la prima volta non in solitario), Soldini vinse la tappa in mezzo alle polemiche fomentate dalla stampa francese che lo considerava avvantaggiato per il fatto di non navigare più da solo e si aggiudicò anche la frazione seguente, l’ultima, da Punta del Este a Charleston, conquistando così la vittoria del giro del mondo in solitario, la prima e ancora oggi unica di un navigatore italiano.
LA LUNGA GAVETTA CON IL 50 PIEDI
Quattro anni prima, Soldini aveva completato la sua prima circumnavigazione del globo in solitario, nell’edizione 1994-’95 del BOC Challenge (ribattezzato poi Around Alone). In quell’occasione aveva regatato nella classe delle barche più piccole, quella degli Open 50, e si era classificato al secondo posto, alle spalle dell’australiano David Adams. Partecipare a un giro del mondo in barca a vela era da anni il suo sogno e riuscì a realizzarlo a ogni costo. Costruì la barca nelle strutture della comunità Saman di Latina per il recupero di tossicodipendenti (che furono geniali nel battezzarla Stupefacente, perché in quel divertente doppio senso era anche perfettamente spiegato il miracolo dell’operazione per realizzarla) e per riuscire a essere sulla linea di partenza dovette fare affidamento sull’aiuto di un numero infinito di amici, conoscenti e operatori del settore. Riuscì perfino a trovare lo sponsor, la Kodak, che però lo abbandonò proprio a tre quarti del giro, quando furono cambiati i vertici dell’azienda e quelli nuovi smisero di supportarlo per questioni legate a faide interne.
Nonostante l’attenzione che i media riservavano sempre di più alla sua impresa, soprattutto al termine della vittoria nella terza tappa, da Sydney (Australia) a Punta del Este (Uruguay), la Kodak non lo utilizzava affatto per la propria comunicazione. Sulle pagine pubblicitarie dei quotidiani e dei periodici, invece della barca di Soldini, compariva sempre un “famoso” peluche. Logorato dalle difficoltà finanziarie, Soldini non riuscì quindi ad avere una barca messa bene a punto proprio nel finale, quando c’era da sferrare l’attacco finale a David Adams. Tuttavia, proprio grazie ai risultati ottenuti con pochi mezzi e alla capacità di lottare mostrata in quel giro del mondo, riuscì a conquistare la stima della Telecom Italia che decise di sponsorizzarlo per la stagione successiva. Il 1996 è l’anno d’oro di Giovanni Soldini, che con il 50 piedi riesce a vincere a tutte le regate alle quali partecipa: comincia con il successo alla Roma per Due in coppia proprio con Isabelle Autissier, poi conquista la vittoria di classe nella Ostar, la più celebre delle regate transatlantiche in solitario, da Plymouth (Inghilterra) a Newport (USA), e nella Québec-Saint Malo, in equipaggio con Enrico Caccia, Andrea Tarlarini e Andrea Romanelli. E’ proprio alla fine di questa esaltante stagione che inizierà la collaborazione con Fila, che gli consentirà il passaggio alla classe degli Open 60 nella quale vincerà il giro del mondo del 1998-’99.
IL NAUFRAGIO DI LOOPING IN MEZZO ALL’ATLANTICO
La Québec-Saint Malo, ma quella del 1992, è stata la regata che ha iniziato a far conoscere Giovanni Soldini al grande pubblico, attraverso la stampa specializzata. Dopo un’adolescenza da autentico “vagabondo dei mari” (e non solo), trascorsa tra fughe da casa, imbarchi trovati qua e là (che gli hanno permesso di attraversare due volte l’Atlantico ancora prima di prendere la maturità a scuola), trasferimenti, giornate in cantiere dove Franco Malingri gli insegna tutto sulle barche e lunghi periodi ai Caraibi, all’inizio del 1989 incontra l’armatore che gli cambia la vita. E’ Domenico Ranalli, un industriale di Roma che, prima, gli affida la gestione della sua barca da regata (Ciao Vento, un ULDB di 15 metri) e, poi, all’inizio del 1991, acquista l’Open 50 Looping (la barca vincitrice del BOC Challenge di quell’anno, progettata da Berret-Racupeau) con l’accordo che Giovanni Soldini avrebbe regatato per cinque anni in esclusiva per una sua società che avrebbe fatturato agli sponsor. Con questo 50 piedi, Soldini partecipa in solitario alla La Baule-Dakar del 1991 e alla Ostar del 1992 classificandosi al secondo posto. Ma, proprio nella regata di ritorno, dal Canada alla Francia, insieme a due compagni d’equipaggio, perde la chiglia e si ribalta in mezzo all’Atlantico, dove è recuperato da una nave cargo tedesca di 150 metri e abbandona Looping. Da lì a pochi mesi, all’inizio del 1993, comincerà la costruzione di Stupefacente (Kodak, poi Telecom Italia).
IL BUIO PRIMA DELLA RINASCITA
Dopo la lunga gavetta con l’Open 50 e la vittoria del giro del mondo con l’Open 60, Soldini segue la strada naturale di tutti i grandi navigatori oceanici (per lo più francesi) dell’epoca e, all’inizio del 2001, vara l’ORMA 60 (il trimarano per le regate oceaniche, progettato da Van Peteghem-Lauriot Prévost), sponsorizzato da Fila prima e da TIM dopo. La parentesi con il multiscafo dura fino al 2005, è entusiasmante perché finalmente un italiano entra nel grande giro della vela oceanica, ma è avara di successi e si conclude con la scuffia e la conseguente perdita della barca ancora una volta in Atlantico, in occasione della Transat Jacques Vabre che si disputa da Le Havre (Francia) a Salvador de Bahia (Brasile) e che Giovanni Soldini affronta in coppia con il suo amico d’infanzia Vittorio Malingri. Ancora una volta senza barca, Giovanni Soldini riparte dal basso. Il mondo degli ORMA è in declino e quello degli Open 60 è diventato troppo esasperato. Così, nel 2007, vara un prototipo di Class 40, Telecom Italia, disegnato da Guillaume Verdier e, in coppia con Pietro D’Alì, vince la Jacques Vabre del 2007 e arriva secondo alla La Solidaire du Chocolat, da Nantes (francia) a Progreso (Messico). Soprattutto, vince di nuovo una transatlantica in solitario, nel 2008, la The Transat, sulla rotta Plymouth-Boston (simile alla storica Ostar). Inoltre, partecipa al Fastnet e ancora una volta alla Québec-Saint Malo.
IL SOGNO ANCORA DA REALIZZARE
Sin dall’inizio della sua carriera, Giovanni Soldini ha sempre dichiarato di navigare in solitario per una questione di semplicità e di riduzione dei costi, ma che, potendo scegliere, lui andrebbe sempre in compagnia, ritenendolo più divertente. Il suo vero sogno, ancora irrealizzato, è partecipare alla Volvo Ocean Race, la regata attorno al mondo in equipaggio. Per l’edizione passata, del 2011-2012, aveva la barca a disposizione, acquistata dall’amico John Elkann (nipote dell’Avvocato Agnelli), ma non è riuscito a trovare gli sponsor. Tuttavia, con quella stessa imbarcazione (l’ex Ericsson 3, ribattezzato Maserati) ha avviato un programma oceanico che lo scorso anno lo ha portato a segnare un nuovo tempo di riferimento per il record sulla rotta Cadice-San Salvador e a stabilire nel 2013 il nuovo primato di navigazione da New York a San Francisco. Quest’estate si è anche classificato al secondo posto nella mitica Transpac, da Los Angeles a Honolulu.
CHE COSA AVEVAMO SCRITTO NEL 1995
Tratto da Il Giornale della Vela aprile 1995. Dopo Paul Cayard, Giorgio Zuccoli e Roberto Ferrarese, è toccato a Giovanni Soldini ricevere il premio di Velista dell’Anno 1995.
“Quando sono arrivato mi sono detto, ma io che ci faccio qui? Bah, non c’entro proprio niente”. Giovanni Soldini non smentisce il suo personaggio. Stringe nelle mani (che hanno ancora i segni di 31 giorni di oceano, CapoHorn compreso) il Timone d’Oro ed è conteso dagli operatori televisivi. Riusciamo letteralmente a “rapirlo”.
“Anche quando mi hanno chiamato sul palco con gli altri ragazzi – prosegue Soldini – tutti derivisti olimpici o timonieri di regate più popolari come quelle IMS, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. La vela che praticano loro è completamente diversa dalla mia, come approccio e come pratica in sé. Non sto qui a dire qual è più difficile, perché si potrebbe quasi dire siano sport differenti. Loro sono bravi quanto me perché tutti inseguiamo risultati importantissimi, si dedicano alla vela e ai loro programmi a tempo pieno, non pensano ad altro, hanno le stesse paranoie e gli stessi problemi che posso avere io. Poi quando mi hanno premiato mi sono sentito meglio. Ho capito che la gente, applaudendomi, ha approvato la decisione della giuria. Una decisione difficile perchè è impossibile stabilire se sia più bravo un equipaggio di 470, un laserista o un solitario oceanico. Sono contento, perché più che a Giovanni Soldini questo premio può servire a rendere più conosciuto in Italia un certo modo di anda e per mare e regatare che sta prendendo sempre più piede anche da noi anche se siamo ancora anni luce in dietro rispetto a tanti altri Paesi. Credo che questo lo abbiano capito anche i miei contendenti di questa sera”.
GDV. Anche oggi non hai dimenticato di ringraziare chi ti sta aiutando in questa tua esperienza nel BOC.
Molte persone. A volte la gente pensa che io sia un navigatore solitario e quindi…boh, niente, mi faccia tutto da solo. E invece no, manco per niente. Proprio perché sono un solitario che deve dare tutto il meglio di sé e usare tutte le proprie forze in regata, quando sto a terra devo spendere meno energie possibili e stare bello tranquillo, posato, cosa che poi non avviene mai perché è impossibile rilassarsi. Quindi non posso dimenticare quelle persone come Jones, Claudia, Elena della Comunità Saman di Latina dove abbiamo costruito la barca. I vari Stefan, Armando, Luigi, che hanno lavorato sulla mia barca e che ora con Luca, Giacomo, Noris e altri ragazzi stanno portando avanti proprio una bella storia, con il cantiere. Stanno costruendo un’altra barca, più grande della mia e sono contentissimo perché meritano proprio di lavorare. La mia è l’unica barca che non ha danni. Non è poco.
Quell’orecchino, che roba è?
Caro fratello, questo è l’orecchino del cap hornier. L’ho messo senza ghiaccio! Chi passa Capo Horn ha diritto di mettersi l’orecchino, come trofeo. Ma siccome sei stato un gallo a passare Capo Horn, devi essere un gallo fino in fondo, perché ormai non puoi più aver paura di niente e ti devi fare il buco da solo, così a freddo. Molti però fanno i furbi e prima si spalmano sopra un bel chilotto di ghiaccio così non sentono niente. lo invece sono un duro e l’ ho fatto senza ghiaccio. Capito?
Adesso, dove vai?
Riparto sabato. Mi fiondo di nuovo a Punta del Este, per l’ultima tappa del BOC. Non è mica finita, che vi credevate? Ci sono ancora più di 5000 miglia fino al traguardo. Stasera siamo qui tutti contenti, belli felici e ci divertiamo ma io mi devo ancora cuccare l’Atlantico.
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1 commento su “Giovanni Soldini, la lunga storia del simbolo della vela oceanica italiana”
Bellissimo servizio su un grande velista come Soldini.