INTERVISTA “Quelle che amo sono le barche a vela. Ma quelle vere”
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A proposito delle vostre barche, in pochi anni avete creato una vera e propria gamma, adesso il nuovo cantiere. E domani?
Lo sforzo più grande lo stiamo facendo quest’anno con il cantiere, ma il prossimo presenteremo qualcosa di nuovo, senza togliere i vecchi modelli. Abbiamo avuto la fortuna o il giudizio di non farci prendere dalla “moda”, per cui abbiamo le boccole autoallineanti, l’albero John Mast e tante altre cose che fanno del nostro mercato un mercato di velisti, di armatori. Il compratore che un tempo prendeva la barca a vela in leasing per fare i quindici giorni di vacanza non si avvicina al nostro prodotto.

Ergonomia di bordo e concretezza. Quando penso alle mie barche penso a barche coerenti e concrete. La coerenza la trovi nelle linee d’acqua e nell’ergonomia; in tutto il mondo si va anche di bolina. Per questo invece di disegnare una barca “fashion”, perché va di moda lo spigolo e poi patire il 50% della crociera perché il passaggio sull’onda non è ottimale, preferisco fare barche che funzionano di bolina. Se al lasco invece di andare a 25 nodi quando ce ne sono 30 andrò a 22, pazienza. Il resto del tempo ottengo comfort in navigazione.
Hai accennato alle barche “fashion”. Sembra che la produzione nostrana stia conquistando il mercato USA.
Si tratta di una crisi di idee dei cantieri americani, perché se analizzi il loro mercato, i modelli sono rimasti un po’ datati, eccezion fatta per J/Boats. Noi italiani siamo prolifici, pure troppo devo dire, perché ritengo che la barca sia ‘la barca di famiglia’, quindi il modello non può cambiare ogni quattro anni, anche per una questione di commercializzazione dell’usato. Nell’epoca d’oro per esempio il 412 di X-Yachts è rimasto sul mercato per quattordici anni. In nord Europa è ancora così, mentre il nostro mercato è drogato dal bisogno di proporre sempre qualcosa di nuovo.

Di necessità virtù. Il fatto di non dover manovrare lo spinnaker ti porta ad avere un asimmetrico che non ha la stessa resa, ma che in crociera è fantastico. Non vedo invece necessari tutti quei Code Zero che, a parte il Golfo dei Nesci, servono a poco in giro per il mondo, perché la barca sotto i sei nodi la usi solo per fare i giretti e appena ce ne sono otto lo tiri giù. Il gennaker invece lo trovo molto giusto. Anche l’ala rigida (che funziona bene) ha un problema economico: sarà funzionale quando avrà un prezzo accessibile.
Sono nati i pod e gli ausili alle manovre… Che ne pensi?
Se funzionano ben vengano, come tutto quello che semplifica la vita ai croceristi meno esperti. Però è inutile fare le barche con due pale del timone profonde sessanta centimetri per poi mettere l’elica di prua: a un nodo e mezzo con due timoncini così non manovri!

Ben vengano, ma devono avere un costo umano e soprattutto funzionare. Sarei felice se l’ibrido o i pannelli solari (meno l’idrogeneratore perché
quando navighi rompe le scatole), entrassero davvero sul mercato, perché vuol dire che un domani potrai usare davvero un motore elettrico; oggi è impossibile perché il rapporto costo resa non vale il gioco. Perché un armatore dovrebbe scegliere un motore elettrico, col quale ha meno autonomia e gli costa 15mila euro in più?
Cosa cambierà nelle barche nei prossimi anni?
C’è da lavorare sul rigging, applicando alta tecnologia a bassi costi. Il problema di fondo è sempre quello economico. Facciamo un esempio, tu intendi l’albero in carbonio come quello figo da 100mila euro; credo ci possa essere un sistema per ridurre, grazie magari a sezioni diverse, il suo costo, come pure quello del sartiame, così da abbassare il baricentro e risparmiare chili sulla chiglia: meno strutture significano meno dislocamento e tutto ne trae vantaggio. Questa è l’evoluzione in cui spero.
A.d.A.
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3 commenti su “INTERVISTA “Quelle che amo sono le barche a vela. Ma quelle vere””
Rara avis ! Perfettamente d’accordo su tutto.
se esci con 20 nodi e non stai in apprensione è perchè hai comprato un brocco che nun se move
Chiaro , sintetico e preciso. Bravo Franco.