Coppa America, verso il trionfo o verso il baratro?
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Aspettando le AC World Series di New York (in programma il 7-8 maggio prossimi), possiamo tranquillamente affermare che la trentacinquesima edizione della Coppa America non sia nata sotto la migliore delle stelle. E vi spieghiamo perché.
ORACLE HA VINTO CON L’INGANNO NEL 2013?
A distanza di due anni e mezzo dall’incredibile rimonta del defender Oracle ai danni di Emirates Team New Zealand (da 1-8 a 9-8 nella finale di San Francisco) c’è chi si è interrogato sulla validità dell’ultima sfida: un libro che porta la firma del giornalista sportivo G. Bruce Knecht, The Comeback (“Il Ritorno”) ha gettato nuova benzina sul fuoco. Secondo Knecht, Oracle avrebbe cambiato marcia vincendo con l’inganno, sfruttando il pompaggio della wing sail (la vela alare) per creare surplus di spinta sull’ala. Il “pumping” è palesemente vietato nel regolamento di regata internazionale (regola 42), ma, si sa, la Coppa ha un funzionamento tutto suo: la regola era stata cambiata e recitava che “una barca deve competere usando soltanto il vento e l’acqua per aumentare, diminuire o mantenere la propria velocità. Il suo equipaggio può regolare l’assetto della vela alare, dei timoni, delle derive e degli scafi ed eseguire altre azioni di marineria”. Non esistevano riferimenti al pompaggio, e i rapidi movimenti della wing di Oracle potrebbero essere considerati come regolazioni del profilo alare. Sull’effettiva legalità dell’azione non resta che un manzoniano “ai posteri l’ardua sentenza”.
E’ LA COPPA, BABY. E TU NON PUOI FARCI NULLA
D’altro canto, già nella prima edizione, nel 1851, gli americani furono accusati dagli inglesi di aver tagliato la boa, e negli anni si è assistito a ogni stranezza. Dalle “alette” sul bulbo di Australia II, vincitrice dell’America’s Cup 1983, alla sfida-farsa del 1988 a San Diego, dove nella finale si sfidarono un monoscafo di 27 metri, KZ-1 del magnate neozelandese Michael Fay, e un piccolo catamarano, Stars & Stripes, timonato da quel volpone di Dennis Conner (non ci fu storia, il cat vinse a man bassa). D’altronde, lo prevedeva il Deed of Gift, l’atto di donazione, una sorta di “costituzione della Coppa” redatta nel 1857, che regala al defender molti vantaggi nella stesura del protocollo che regola la successiva edizione di Coppa.
QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’AMERICA’S CUP
Dopo le diatribe Ellison-Bertarelli, dal 2010 l’America’s Cup non è più la stessa. Continui cambi di regolamento, nessuna chiarezza, foiling, non foiling. L’edizione in corso (si stanno correndo le AC World Series, mentre la fase finale, con le Louis Vuitton AC Qualifiers, inizierà il 26 maggio 2017: la sfida tra defender e challenger è in cartellone a partire dal 17 giugno) verrà ricordata per la confusione. Una confusione che ha fatto perdere appeal a quella che, di fatto, è la più antica competizione velica al mondo: basti pensare che non tutti i paesi coinvolti nella sfida hanno acquistato i diritti televisivi per la trasmissione delle regate in diretta. Non solo: il clima di incertezza che è andato a delinearsi ha fatto sì che l’iniziale Challenger of Record, Team Australia, si ritirasse. Troppi i vantaggi per Oracle, a cominciare dalla possibilità di costruire due barche contro l’unica concessa agli sfidanti. Poi l’addio di Luna Rossa, una volta che si è deciso che le barche con cui si sarebbero corse le fasi finali non sarebbero stati gli AC62 (cat foiling di dieci piedi più piccoli rispetto agli AC72 a bordo dei quali si svolse la sfida tra Oracle e Team New Zealand nel 2013) ma gli AC48, ufficialmente per motivi di contenimento del budget. Patrizio Bertelli ha ritirato la sfida, poiché Prada era già al lavoro sull’ottimizzazione dell’AC62 e il ritorno a una misura più piccola, di soli tre piedi superiore agli AC45, ha segato mesi di lavoro e soldi.
UNA POLTRONA PER SEI
Questo ha lasciato a spasso fior fior di velisti. Max Sirena ha trovato un ingaggio con i kiwi, Francesco Bruni con Artemis, Mario Caponnetto è entrato nel team di progettisti di Land Rover BAR, il sindacato costruito attorno a Ben Ainslie che ha l’obiettivo di riportare la Coppa in Inghilterra. Alla fin fine i team che hanno accettato di sottostare al protocollo “imposto” da Ellison e Coutts sono stati cinque: oltre ai succitati ETNZL, BAR e Artemis, hanno confermato i transalpini di Groupama Team France e i giapponesi di Softbank Team Japan. Attualmente, dopo le AC World Series di Portsmouth, Gothenburg, Bermuda e Oman, guida la classifica Emirates Team New Zealand, davanti a Oracle Team USA e Land Rover BAR. Prossimo appuntamento a New York il 7 e l’8 maggio. Per chi conviene tifare? Noi stiamo dalla parte di Max Sirena. Sfumato il sogno Luna Rossa, ha scelto l’unico team che probabilmente potrà dare del filo da torcere agli americani. Qualora i kiwi riuscissero a strappare la Coppa, potranno mettere mano al regolamento riportando l’America’s Cup a una dimensione più umana (torneranno i monoscafi?), restituendole credibilità. E favorendo il rientro di altri team, tra i quali sicuramente Luna Rossa.
VUOI VEDERE LA COPPA? PAGA!
In Italia non possiamo vedere le gesta di Sirena e compagni. O meglio, se vogliamo godercele dobbiamo sborsare, dopo aver scaricato la App dell’America’s Cup (per dispositivi iOS o Android) 7,99 dollari. Per chi invece voglia sottoscrivere un abbonamento per tutti gli eventi del 2016, il costo è di 27,99 dollari. Questo è il solo modo per assistere alle regate, dato che nessuna rete televisiva italiana ha acquistato i diritti. Che contraddizione per la Coppa America che in teoria doveva essere quella della “generazione social”, e che invece non prevede alcuno streaming online gratuito!
INTANTO LA BARCA E’ CAMBIATA ANCORA
Nel frattempo, la barca scelta per le Louis Vuitton e la finale è ancora cambiata: non più l’AC48 ma l’AC50. Si tratterà di un monotipo, al pari del Laser: verrà costruito in diversi cantieri ma gli stampi saranno identici. Anche l’unica vela non rigida rimasta, il fiocco, sarà one design. La lunghezza degli scafi sarà intorno ai 15 metri, la larghezza 8,5 per un peso complessivo di circa 2.400 chili. Sempre che qualcuno non decida nuovamente di rimescolare le carte in tavola…
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3 commenti su “Coppa America, verso il trionfo o verso il baratro?”
Sarei l’unico a dire che QUESTA vela non mi piace niente e da anni le coppe america non mi sfiorano minimamente?
Già non mi piacevano le barche estreme di coppa america che affondavano se c’erano più di venti nodi, ma questi giocattoli tecnologici sono così lontani da “una barca a vela” che non mi “prendono” sportivamente.
UNA VOLTA era una sfida sportiva.
la CA è morta lo stesso giorno in cui hanno deciso di cambiare i monoscafi con i “pattini a vela”
Io adoro la coppa fatta su Cat estremi e velocissimi, ma siamo velisti, non ultra del pallone, e ciò che non amiamo è la mancanza di sportività e chiarezza