Cade in mare e muore. Perché una tragedia così?
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Tragedia nel Golfo dei Poeti, davanti a Lerici. Gianluca Colnago, skipper esperto di 58 anni, è caduto in mare dalla barca a vela di 15 metri sulla quale era uscito con alcuni amici (con i quali stava preparando una traversata verso la Sardegna) perdendo la vita.
Sulla base di una prima ricostruzione, durante una manovra, una cima di bordo si sarebbe impigliata e l’uomo, che provava a liberarla, avrebbe perso l’equilibrio a causa di un’ondata (ieri alle 13, ora dell’incidente, le condizioni meteomarine erano piuttosto impegnative) e sarebbe caduto in mare. Il resto dell’equipaggio avrebbe fatto molti tentativi per recuperarlo, lanciandogli più volte il salvagente anulare, ma sembrerebbe che il velista avesse perso conoscenza subito dopo essere caduto in acqua. Secondo alcune indiscrezioni, inoltre, pare che l’uomo non indossasse il giubbotto salvagente.
L’IMPORTANZA DEL GIUBBOTTO AUTOGONFIABILE
Ogni commento è fuori luogo dopo questi incidenti, noi ci limitiamo a ricordare l’importanza, quando il mare si arrabbia, di indossare il giubbotto (meglio se autogonfiabile ed ergonomico, in modo tale da essere sempre liberi nei movimenti) e di agganciarsi alla lifeline (o jackline). A proposito, sia che dobbiate ancora comprare un modello autogonfiabile, sia che già lo possediate, ecco tutto quello che c’è da sapere. In Italia, rispetto a paesi caratterizzati da una cultura marinara più evoluta come Francia e Inghilterra, spesso il diportista sottovaluta alcuni dettagli a prima vista insignificanti, ma che in condizioni estreme potrebbero rivelarsi determinanti. Come scegliere il proprio giubbotto correttamente, in modo da massimizzare le proprie possibilità di sopravvivenza in mezzo al mare?
SCEGLIERE IL MODELLO GIUSTO
Recentemente in Italia è stato introdotto l’obbligatorietà, per le imbarcazioni di nuova immatricolazione, dei giubbotti salvagente autogonfiabili da 150 Newton. Il mercato degli autogonfiabili si è molto ampliato negli ultimi anni, con modelli e prezzi più svariati, ragione per cui è necessario prestare particolare attenzione a scegliere quello giusto per voi. In fase d’acquisto, indossatelo per assicurarvi della congruenza con la vostra capacità toracica e che lo spazio tra la vostra ascella e la cinghia di chiusura non sia troppo elevato per evitare che, una volta caduti in acqua, il giubbotto (che esercita una spinta verso l’alto opposta a quella del vostro corpo) vi si sfili dalla testa. Sono da preferirsi inoltre i modelli con il gancio di attacco alla safety-line incorporato e che abbiano il colletto in neoprene o materiali simili: quando indossate il giubbotto, il colletto va a contatto con la pelle, che rilascia grasso. Il grasso è il peggior nemico della gomma (una spalmatura di lattice, solitamente, trattiene la camera d’aria), per cui se il colletto non ha protezioni ricordatevi, in fase di utilizzo, di mettervi una maglia a collo alto.
Infine, valutate attentamente i vostri piani di navigazione: se affrontate navigazioni al di fuori del Mediterraneo, potreste aver bisogno di un modello con una camera di gonfiaggio più ampia (al di sopra dei “canonici” 150 N) dotato di sprayhood, perché con venti forti è più facile che l’acqua nebulizzi sul livello del mare, rendendo ardua la respirazione senza un’adeguata protezione. Non spaventatevi se la camera d’aria non ha forma regolare, ma presenta un lato più sviluppato dell’altro: non è un difetto di fabbricazione, ma agevola anzi il raddrizzamento con faccia al cielo in caso di caduta in mare in stato di incoscienza. Particolare importanza riveste la presenza o meno del cosciale, assente nei modelli più economici: potrete realizzarlo da soli cucendo una fettuccia nella parte posteriore del giubbotto e legandola al gancio per la safety-line con una gassa d’amante. Controllate che le cuciture delle cinghie siano di colore differente rispetto alle cinghie stesse, in modo da poter agilmente verificare il loro stato d’usura.
CON PASTIGLIA O IDROSTATICO?
In commercio, se si tolgono i modelli a gonfiaggio manuale (simili a quelli che trovate sugli aerei), esistono due tipi di giubbotto autogonfiabile: con bomboletta e pastiglia al sale o idrostatici. I primi hanno al loro interno una pastiglia che si scioglie a contatto con l’acqua, fungendo da “detonatore” per la bomboletta, che in genere viene attivata dopo un paio di secondi. Molto efficaci, sono sensibili all’umidità per cui necessitano di una particolare manutenzione: in inverno toglieteli da bordo, estraete bomboletta e pastiglia e sciacquateli con acqua dolce. Se volete potete lasciarli in barca, ma solo se disarmati. I giubbotti di tipo idrostatico sono dotati di una speciale fessura tarata per aprirsi a una profondità prestabilita (non più di 30 centimetri). Hanno il vantaggio di non gonfiarsi anche se venite investiti da secchiate d’acqua ma la loro manutenzione è difficile (vi conviene affidarla a manodopera specializzata) e i costi sono più elevati.
MANUTENZIONE
Alla fine di ogni stagione è bene che operiate un controllo sull’autogonfiabile: aprite il giubbotto agendo sulla chiusura a strappi o sul velcro, estraete la bomboletta e la pastiglia salina all’interno e gonfiate manualmente la camera d’aria. Fatelo utilizzando un gonfiatore (andranno benissimo quelli a “cupola” da campeggio) e non a bocca, perché il vostro fiato contiene umidità che potrebbe rovinare la gomma. Una volta gonfiato, appoggiatelo su un bancone e assicuratevi che rimanga perfettamente gonfio per almeno 12 ore. Se perde volume durante questo lasso di tempo, spalmatelo di sapone per controllare che lo sgonfiamento sia causato effettivamente da una perdita (e non da una variazione di temperatura dell’aria): così fosse, non procedete a una riparazione bensì sostituite l’intera camera d’aria.
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4 commenti su “Cade in mare e muore. Perché una tragedia così?”
L’autopsia ci dirà cosa è successo. Comunque le condizioni del mare non erano affatto proibitive, un po’ impegnative si.
nelle acque “davanti casa” ci si sente protetti…alzi la mano che si mette sempre il giubbotto di salvataggio…ammetto che io sono il primo a non indossarlo…questo tragico incidente deve servire per maturare…a me per primo….RIP Colnago
BRAVI. apprezzo il modo con cui avete affrontato questo altro grave incidente. Spero che tutti i lettori non si permettano di dare giudizi ma si facciano un esame di coscienza personale.
Al Centro Studi “i ragazzi del Parsifal” analizzeremo anche questo ulteriore caso tragico per capire cosa non ha funzionato e dove incidere con la comunicazione e la formazione per prevenire e non solo e sempre curare le situazioni di uomo a mare
Umberto Verna
DIRETTORE CENTRO STUDI
Io c’ero e Gianluca era uno dei miei più cari amici.
Solo per fare chiarezza:
Le condizioni del mare non erano impegnative, vento 15 nodi e onda 50-80 cm.
Nessuno in queste condizioni mette il giubbotto, a maggior ragione su un 15 metri. Giubbotto personale che peraltro Gianluca aveva con sé nella sua sacca.
Dopo 1-2 minuti dalla caduta era già incosciente tanto da non aggrapparsi all’anulare che per tre volte gli abbiamo lanciato dalla barca.
Non è stato neppure possibile issarlo a bordo (nonostante gli sforzi) né con i nostri mezzi sulla nostra imbarcazione né sulla CP intervenuta. Sono dovuti intervenire i sommozzatori dei Vigili del Fuoco.
Quali possibilità in piú avrebbe avuto col giubbotto?