REPORTAGE. Alle Orcadi: tra correnti, baleniere e… un bicchiere di whisky/4
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Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Ecco la prima puntata del suo viaggio alle isole Ocardi! (QUI TROVATE LA PRIMA PARTE, QUI LA SECONDA, LA TERZA)
Mi sveglia un suono di cornamuse: Ecland sta entrando nel porto di Kirkwall (“baia della chiesa” nell’idioma dei vichinghi), 59° di latitudine nord, il parallelo della punta meridionale della Groenlandia. La perturbazione è puntualmente arrivata con i suoi venti a 40 nodi, piogge e repentini, brevi squarci di sole. Cala a tratti anche la nebbia, umida e fredda, che avvolge in una grigia bambagia le case di pietra affacciate sul mare e attutisce i rumori come sotto una fitta nevicata: i gridi dei gabbiani, le campane della cattedrale, il ronzio dei frigoriferi delle barche da pesca.
Ma il tempaccio da lupi non ci impedisce di assaggiare l’haggis, il robusto piatto nazionale scozzese: stomaco di pecora farcito di frattaglie. E di girovagare tra le Orcadi alla scoperta del mondo arcano di questo arcipelago remoto, tra brughiere solitarie, torri medievali, greggi di pecore, pinte di birra scura e spiagge dove affiorano ossa di balene. Sono isole misteriose, apparse per la prima volta alla fine del Trecento sulla carta da navegar dei fratelli veneziani Nicolò e Antonio Zen, avventurosi mercanti navigatori; ma abitate fin dal Neolitico (come testimoniano il sito archeologico di Skara Brae e l’anello di monoliti cerimoniali del Ring of Brodgar) e poi diventate rifugio del popolo dei Pitti in fuga dalle legioni romane, avamposto di missionari cristiani, terra di conquista dei vichinghi, feudo conteso da vescovi rapaci e nobili scozzesi.
E infine, durante i conflitti mondiali del Novecento, base strategica della flotta di Sua Maestà nell’ampia rada di Scapa Flow, che Churchill fece chiudere con due imponenti barriere di blocchi di cemento – 900 mila tonnellate in gran parte posate dai prigionieri italiani – e di relitti affondati. Uno sbarramento che non impedì al capitano Günther Prien, comandante del sommergibile tedesco U-47, di silurare in una notte senza luna dell’ottobre 1939 la nave da guerra inglese “Royal Oak”, la cui campana è oggi esposta in una navata della cattedrale di Kirkwall.
Gli italiani catturati dagli inglesi del generale Montgomery a Tobruk, in Libia, e trasferiti alle Orcadi nel 1942 hanno lasciato un segno indelebile: l’Italian Chapel, una chiesetta costruita saldando due capannoni Nissen, stuccando pareti e facciata, ancora in perfetto stato, sull’isolotto di Lamb Holm dove sorgeva Camp 60, il campo di internamento. Prima della sua scomparsa nel 1999, Domenico Chiocchetti era tornato un paio di volte a restaurare i suoi affreschi: scene della Bibbia e una Madonna col bambino.
La gente delle Orcadi, marinai e contadini, allevatori di bestiame ed ex guardiani di fari, è cordiale e di poche parole. Quando il motore di Ecland si ferma (acqua nel circuito del gasolio e guasto al motorino d’avviamento) l’anziano pescatore che ci rimorchia all’ormeggio non vuole un penny: “Domani” si limita a dire “potrebbe capitare alla mia barca”.
LEGGI QUI LA PRIMA PARTE DEL REPORTAGE.
LEGGI QUI LA SECONDA PARTE DEL REPORTAGE.
LEGGI QUI LA TERZA PARTE DEL REPORTAGE.
Scopri tutti i reportage di Giovanni Porzio nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso!”
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