REPORTAGE. Alle Orcadi: tra correnti, baleniere e… un bicchiere di whisky/2
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Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Ecco la prima puntata del suo viaggio alle isole Ocardi! (QUI TROVATE LA PRIMA PARTE)
Alla fonda nella rada di Tobermory, dove passiamo la prima notte, ci sono alcune vele e una lancia di soccorso della Guardia costiera, che da queste parti ha il suo da fare, specie d’inverno quando le burrasche da nordovest soffiano con venti a 50 nodi e onde di nove metri. Non incontreremo altre barche sulla rotta delle Orcadi: solo qualche traghetto e i pescherecci impegnati a calare le nasse per le aragoste e i granchi. è un mare selvaggio e primordiale, senza i diportisti della domenica, senza l’affollamento rumoroso dei porti, le moto d’acqua, i gommoni, l’inquinamento, le discoteche e i villaggi-vacanze che affliggono e deturpano i litorali del Mediterraneo.

Per tutto il secondo giorno navighiamo a motore sotto un cielo di piombo, risaliamo il Sound of Sleat, ci lasciamo a dritta i 1300 metri del Ben Nevis, la cima più alta del Regno Unito, e a sinistra gli isolotti di Rhum e di Eigg per ancorarci in una tranquilla insenatura dell’isola di Skye. Da un malconcio catamarano afferrato a una boa si stacca un barchino: due marinai vengono a chiederci in prestito il bansigo. Ne hanno bisogno per salire in testa d’albero a tagliare una cima e verificare i danni. Una settimana fa, ci spiegano, il catamarano è stato ribaltato da un’onda di poppa e ha rischiato di affondare. Sono riusciti a raddrizzarlo pompando tonnellate d’acqua in uno dei due scafi, che hanno appena finito di svuotare.
Fa sempre più freddo, ma a bordo abbiamo abbondanti scorte di whisky, birra scura e aringhe affumicate. Quanto basta per riscaldare il sangue e propiziare il sonno nel sacco a pelo, cullati da una morbida risacca. A nord di Skye la costa è quasi disabitata: si vedono poche fattorie col tetto di ardesia grigia, molto distanti l’una dall’altra, alture sempre più scabre e solitarie, una strada sterrata e rocce verdi di muschio. Anche il mare è deserto: nessuno in vista, tranne i delfini, le foche e gli uccelli marini. Sporadici i punti cospicui sulle carte nautiche (“casa bianca”, “rovine”), su cui si infittisce la rocambolesca toponomastica celtica: Rubha na Fearn, Ob na h-Uamha…

Siamo partiti di buon’ora: Michele ha accertato che nello stretto di Kyle Akin la corrente raggiunge i 5 nodi e sarà favorevole verso nord fino a mezzogiorno. Il flusso contrario ci impedirebbe il passaggio. Il calcolo delle correnti e delle maree, che a luna piena e nuova superano i quattro metri, è piuttosto complesso e richiede precisione. Bisogna consultare il West Coast of Scotland Pilot e le Admiralty Tide Tables, che indicano per ogni giorno dell’anno gli intervalli di marea delle zone in cui si naviga; si devono poi aggiungere o sottrarre le variazioni temporali in base alle coordinate geografiche in cui ci si trova e solo a questo punto, stabiliti gli orari dei flussi di corrente, è possibile tracciare la rotta e decidere quando issare le vele.
Verso sera ci rifugiamo nel fiordo di Gairloch e ormeggiamo Ecland al pontile del villaggio di Flowerdale, affiancati a un peschereccio. Con la bassa marea la spiaggia di sabbia rosa si allarga a dismisura e la luce radente sfiora le lapidi di pietra di un cimitero ombreggiato da aceri maestosi e secolari. Nella baia vive una foca maculata che aspetta il rientro dei pescatori per abbuffarsi di sgombri. Noi preferiamo gli astici, 10 sterline il chilo, appena sbarcati sul molo: sembra apprezzarli anche una lontra, che nuota intorno a Ecland e poi sguscia silenziosa verso la banchina in cerca di cibo.
LEGGI QUI LA PRIMA PARTE DEL REPORTAGE.
Scopri tutti i reportage di Giovanni Porzio nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso!”
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