BEST OF 2015 – "Io che ho inventato le barche moderne"

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Nel 1965 una piccola barca stupisce il mondo dello yachting, vincendo in assoluto la mitica regata del Fastnet. La barca si chiama Rabbit, è lunga poco più di dieci metri, l’ha progettata un “amateur designer” statunitense di trentasette anni pressoché sconosciuto: Dick Carter. Nessuno aveva mai progettato una barca così: una forma di scafo con le appendici affusolate e un baglio massimo posto a centro barca molto pronunciato: 3,15 metri in poco più di 10 di lunghezza.

Il suo biografo, Sandy Weld, riferisce che, non appena varata la barca, Carter abbia espresso il suo sorpreso compiacimento per il fatto che galleggiasse “proprio come una barca”, cosa che ha stupito non poco Frans Maas, che Rabbit l’aveva costruito. Una data epica nel mondo della progettazione delle barche a vela, perché Dick Carter ne cambierà per sempre la storia.

L’OLIMPO DI DICK CARTER: IN EUROPA BATTE TUTTI
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Come dimostrò un anno dopo, nel 1966, quando un suo progetto, Tina, vinse la seconda edizione della One Ton Cup a Copenaghen, in quegli anni la regata più prestigiosa in Europa. Tina aveva le linee delle barche del futuro (oltre ad avere “lanciato la moda” della chiglia separata dal timone), linee che hanno mandato in pensione prematuramente tanti yacht designer di allora. A Tina seguì Optimist timonata dall’ottimo Hans Beilken, un Tina leggermente più grande che vinse la One Ton Cup per due volte consecutive nel 1967 e 1968 (arrivando anche seconda nel 1969, anno in cui Dick Carter vince ancora il Fastnet con il Red Rooster, barca a deriva mobile e zavorra interna, che Carter disegnò per sé e che lo rese celebre anche a casa sua, negli Stati Uniti, dove era ancora un perfetto sconosciuto).

Nel 1972 vince ancora con Wai-Aniwa. Nel 1973 un progetto costruito per Marina Spaccarelli Bulgari con al timone il più grande velista italiano, Agostino Straulino, vince la One Ton Cup a Porto Cervo dopo una entusiasmante sfida con Gambare di Doug Peterson. La barca si chiama Ydra e ha forme armoniose abbinate a una velocità in ogni condizione di mare e di vento che la rendono la barca “prodigio” di quel momento. Quello stesso anno Ydra diventa un modello di serie, costruito in vetroresina dal cantiere greco Olympic Yachts col nome Carter 37. La barca ha un grande successo in tutta Europa anche per l’utilizzo in crociera. è uno dei primi esempi di crociera-regata a grande diffusione.

L’INCONTRO CON RAUL GARDINI
Durante questi gloriosi anni, un altro grande nome della vela italiana, Raul Gardini, si innamora dei progetti di Carter: nel 1971 si fa costruire l’Orca 43. Nel 1973 i tempi sono maturi, Gardini abbandona le barche costruite in serie e ordina il progetto di uno yacht espressamente concepito per la sola regata: viene finalmente varato il Naif, uno scafo in legno lamellare costruito da Carlini che stupisce tutto il Mediterraneo per i suoi tre pozzetti indipendenti e la timoneria sdoppiata. Dick Carter raggiunge probabilmente il momento più alto della sua carriera (non dimentichiamo che anche il progetto del meraviglioso 65 piedi Benbow costruito in acciaio da Royal Huisman è del 1973).

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Dopo il 1975 il suo estro progettuale intraprende una curva calante, senza fare ombra su quanto fatto nei dieci anni precedenti: la deriva mobile del Red Rooster diventa la sua cifra di successo, ma il nuovo Regolamento di Stazza, lo IOR, cambia le carte in tavola e lo mette fuorigioco. Nell’intero corso della sua carriera, sono circa 1800 gli scafi che hanno toccato l’acqua con impressa la sua firma.

CARTER E’ MORTO. NON E’ VERO, E’ VIVO E VEGETO
Qualcuno nel 2007 aveva diffuso in rete la notizia che Dick Carter fosse morto, ma lui ha piacevolmente smentito.Sono vivo e vegeto”, scherza sul palco del VELAFestival, dove ha ricevuto un tributo speciale. A farlo “risorgere” portandolo a Santa Margherita è stato Francesco Gandolfi, che l’ha cercato insieme a Lionello Gasparini, l’uomo che ha venduto i suoi scafi in Italia con la Carter Offshore Italia (dove ne sono stati venduti 130).

Sono andato alla ricerca di autorevoli smentite sulla morte di Carter” mi racconta Gandolfi “che si sono manifestate prima da parte di Gilles Carter, figlio di un fratello di Dick, e poi da Catherine Carter, la sua prima figlia; Dick mi ha allora telefonato, per ringraziarmi di averlo resuscitato!”. Una grande emozione vederlo salire commosso sul palco, ignaro di quello che era stato organizzato per lui. Tutti gli ospiti della serata si sono messi in fila per rendergli omaggio, da Luca Bassani a Mauro Pelaschier, da Federico Michetti (armatore del Samoa, un Carter del 1972) al Commodoro Bonadeo.

AL TIMONE ANCORA OGGI
IMG_5380Ma ancora più esaltante è stato vederlo al timone di Tomira (il Carter 37 di Francesco Gandolfi) durante la VELA Cup, ingaggiato con gli altri due Carter che hanno partecipato alla regata: il Carter 37 Mustang arrivato apposta dalla Corsica per rendere omaggio al suo progettista e il Carter di 65 piedi Benbow della famiglia Recchi. Dick Carter ha catturato l’attenzione di tutti a Santa Margherita: questo signore di ottantasette anni forse pensava di essere stato dimenticato dal mondo della vela.

E il suo sguardo vispo, che ringiovanisce un corpo un po’ acciaccato dagli anni, non riusciva a credere a quello che stava guardando: un tributo a sorpresa, una standing ovation quando è salito sul palco a ritirare il suo premio e quattro armatori che “coccolano” ancora con grande amore le sue barche, come fossero appena varate. Lasciamo che siano sue le parole in chiusura: “La crociera è un modo fantastico per arrivare da qualche parte. Una barca è solo un mezzo meraviglioso per visitare luoghi dove tutto è bello, una volta arrivati”.
Tratto dal GdV di giugno 2015

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