Il racconto di Natale – Alle Svalbard, dove si naviga tra gli orsi/1
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Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Proprio da questo libro è tratto il racconto di cui trovate qui la prima parte.
“…l’isola del miracolo, l’ultima Thule, l’ultima terra concessa alla vita dell’uomo. Poiché non v’è altra regione in tutto il mondo che sia così vicina al Polo, ed ove la vita persista…” Paolo Monelli, Viaggio alle isole freddazzurre, 1926
In barca sul tetto del mondo, a 600 miglia dal polo magnetico, tra foche, balene e trichechi: all’invito di capitan Michele, armatore e skipper di Ecland, non potevo resistere. Un aereo per Oslo, un altro per Longyearbyen e alla fine di luglio sono alle Svalbard, il grande, misterioso arcipelago boreale nell’Oceano Artico, mille chilometri a nord di Capo Nord. È mezzanotte quando, sacca in spalla, scendo lungo il molo e salgo a bordo di Ecland, attraccata tra le poche vele all’ormeggio nel porto: bandiere canadesi, francesi, norvegesi. E il sole è alto tra le nubi che nascondono le cime dei monti.
Ci vorrà qualche giorno per abituarsi alla luce abbagliante della notte polare, al vento tagliente, all’assenza di stelle… Mentre un branco di bianche beluga nuota nel fiordo, André, Alberto e Filippo, oltre a Michele i miei compagni di viaggio, mi offrono una birra di benvenuto: sarà purtroppo una delle ultime, come scopriamo l’indomani nello spaccio di Longyearbyen.
Alle Svalbard le implacabili leggi norvegesi non consentono la vendita di birre e liquori all’equipaggio delle barche senza un’autorizzazione scritta del Sysselmann, il governatore dell’arcipelago il cui ufficio, durante il weekend, è chiuso. Il vino non è soggetto a restrizioni ma dobbiamo accontentarci di sei bottiglie di un pessimo merlot che finiremo per usare in cucina. Ci consoliamo con una visita al museo polare e alla “città più settentrionale del pianeta”: duemila abitanti, un albergo, un paio di ristoranti, una banca, un cinema, una chiesa, un centro universitario, case di legno color mattone e poco altro.
Il turismo ha quasi del tutto soppiantato l’industria mineraria (la città deve il nome al magnate americano del carbone John Munro Longyear, che nel 1904 cominciò a sfruttare i depositi delle Svalbard) e l’unica miniera in attività, gestita dai lavoratori, soddisfa i bisogni della locale centrale elettrica. Non è invece visitabile la Global Seed Vault, il tunnel sotterraneo che dal 2008 raccoglie e conserva nel permafrost centinaia di migliaia di semi delle settemila varietà di piante commestibili conosciute: la banca della biodiversità della Terra.
Salpiamo in favore di corrente e navighiamo nell’Isfjorden, profonda insenatura di Spitsbergen, principale isola dell’arcipelago: puntiamo all’isola Prins Karls, disabitata e parco naturale protetto, come tutte le Svalbard. Ci seguono stormi di uccelli marini: puffin, fulmar, skua, sterne artiche. Siamo nella latitudine più elevata al mondo in cui è possibile addentrarsi: solo in luglio e agosto, quando il pack si ritira più a nord; e solo grazie a un refolo della corrente del Golfo, che lambisce le coste occidentali delle isole mentre a est, anche in piena estate, il mare è coperto di ghiaccio.
Il freddo è pungente. La temperatura dell’acqua non supera i 3-6 gradi, quella dell’aria oscilla tra i 5 e i 10, ma scende in prossimità dei ghiacciai che scavano valloni tra le scure montagne e scaricano in mare gli iceberg, con schianti di tuono. Le minime, in inverno, scendono a -50°. Ai raggi del sole l’oceano trascolora dal piombo fuso al bronzo all’oro e al blu cobalto, poi si copre di foschie e vapori perlacei. Rapidi voli di uccelli planano sulle onde; il profilo della costa scompare nella bruma. Quando le nubi si sollevano la luce svela una bianca scogliera, il verde acceso e il viola della tundra, le rocce screziate d’erbe, muschi e licheni. Poi il sipario si richiude, tra le nebbie e i fumi.
Scopri tutti i reportage di Giovanni Porzio nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso!”
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