Caso IMOCA 60: i perché del clamoroso flop dei monoscafi volanti

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Quattro IMOCA 60 su cinque di nuova generazione (quelli con i foils) si sono dovuti ritirare per gravi avarie strutturali alla regata atlantica Transat Jacques Vabre
. Un clamoroso e pericoloso flop delle nuove barche volanti che avrebbero dovuto rivoluzionare il mondo dei monoscafi. Guarda caso progettati tutti da un unico team, i francesi VPLP/Verdier.

COSA E’ SUCCESSO
Tre si sono ritirati prima di “disintegrarsi”, Edmond De Rotschild, Safran e Saint Michel-Vibrac. Il quarto ritirato, Hugo Boss, di Alex Thomson e Guillermo Altadill, si è addirittura ribaltato e rischia di affondare. Ma non è finita, anche il quinto è nei guai.
Banque Populaire VIII di Arme Le Cleac’h e Erwan Tabarly, leader della classifica tra gli IMOCA, pare abbia problemi al sistema di comando del foil di dritta, e stia “mollando” sull’acceleratore.. Allora noi ci domandiamo, velocità medie alla mano e tenuto conto degli investimenti multimilionari che stanno dietro a queste barche: come è potuto acadere tutto ciò. E soprattutto, di chi cavolo è la colpa?

Danni a una "costola" a bordo di St Michel - Virbac foto tratta da Sailinganarchy.com)
Danni a una “costola” a bordo di St Michel – Virbac foto tratta da Sailinganarchy.com)

QUALCUNO HA SBAGLIATO
Per cercare di capirlo abbiamo interpellato il “grande escluso” della Jacques Vabre, Andrea Mura (che ha dovuto ritirare la sua iscrizione per problemi di budget, nonostante avesse una barca nuova di zecca – dotata anch’essa di foils – per le mani): “Il problema”, ci ha raccontato, “sta nel fatto che tutte le barche hanno presentato avarie simili: ovvero danni alla struttura interna e alle sue costole”. Spieghiamoci meglio: una delle novità assolute di questi IMOCA è la costruzione degli scafi, sempre più leggeri. La nuova soluzione costruttiva è costituita da rinforzi trasversali innovativi, già vista, longitudinalmente, sul 100 piedi Comanche. Che permette di risparmiare peso, compensando quello aggiunto dal sistema dei foil. Invece di una griglia strutturale con un numero minore di madieri (ma più grossi e pesanti), i progettisti Verdier e VPLP hanno puntato ad una struttura di costole semicircolari ravvicinate a supporto di uno scafo dalla pelle estremamente sottile (4 millimetri in alcuni punti). Risparmi peso (come detto, per compensare l’aumento derivante dall’installazione dei foils) ma se i carichi non sono distribuiti al meglio… spacchi. “A mio avviso”, prosegue Andrea Mura, “l’errore va ricercato nella progettazione o nella costruzione”.

COLPA DEL PROGETTISTA?
Peccato che le quattro barche rotte, St. Michel – Virbac, Edmond de Rothschild, Hugo Boss e Safran, siano state costruite da tre cantieri diversi, rispettivamente da Multiplast (le prime due), Green Marine e CDK. Possibile che tre grandi cantieri si siano completamente sbagliati? E se l’errore fosse da imputare ai progettisti? “Io la mia barca l’avevo costruita da Persico”, dice Mura, “era l’unica realizzata con tecnologia da Coppa America, ma dovrei avere doti da indovino per assicurarti che, una volta in regata, non avrebbe presentato qualche problema”.

GLI AVVERTIMENTI INASCOLTATI DI VERDIER
Guillaume Verdier
, uno dei progettisti, si era accorto che il rischio di far partecipare ad una regata di 5.400 miglia in Atlantico queste barche, così innovative ma appena varate, sarebbe stato grande. Era stato molto chiaro: “Ci ha sempre vivamente sconsigliato di prendere parte alla Jacques Vabre perché troppo rischiosa, con alle spalle solo due mesi di test, collaudi e allenamenti. Sarebbe stata una follia”, sostiene il velista italiano. Una raccomandazione disattesa dai team, sui quali grava una grande pressione da parte degli sponsor che investono cifre esorbitanti. “Inoltre pochi sono a conoscenza di un altro particolare. Visto che i foils costituiscono una coppia di raddrizzamento molto forte, l’albero e le vele risultano sovraccaricate: anche se il minore sbandamento ti dà la sensazione di poter gestire tranquillamente la situazione, se hai troppa tela su o cazzi troppo le vele rischi di disalberare o comunque di danneggiare la struttura. Anche se sei un velisti fortissimo e scafato”.

UNA SOLUZIONE CI SAREBBE STATA
Verdier questo lo sapeva bene e aveva chiesto alla classe di dotare le barche di un nuovo albero one-design rinforzato
. Una richiesta respinta dall’IMOCA per ragioni meramente “politiche”. Si riteneva che i nuovi 60 piedi sarebbero già stati avvantaggiati dai foils, perché aumentarne la sicurezza?”. Roba da matti. “E sapete che nell’idea di iniziale di Verdier e VPLP la chiglia avrebbe dovuto essere “a sgancio rapido”, avrebbe cioè dovuto “staccarsi” e tornare a centro barca qualora i carichi fossero risultati troppo elevati, facendo straorzare la barca ma salvaguardando la struttura generale?”. Seguiremo gli sviluppi, intanto però lasciateci fare una considerazione: non vorremmo mai essere nei panni dello studio Verdier/VPLP!

E.R.

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4 commenti su “Caso IMOCA 60: i perché del clamoroso flop dei monoscafi volanti”

  1. Complimenti per l’articolo, molto esaustivo e col valore aggiunto dell’intervista – interessantissima- ad Andrea Mura. Il tema é molto caldo e spinosissimo. Io sono convinto che Van Peteghem, Lauriot Prèvost e Verdier sapessero bene quali sarebbero state le forze in gioco e a cosa si sarebbe andati incontro laddove le condizioni fossero state dure (vedi le soluzioni proposte rifiutate dalla Classe, palesemente vogliosa di portare ad un limite estremo queste barche). Tuttavia ha prevalso la fretta degli sponsor di vedere all’opera questi “mostri” e la politica della Classe Imoca di rappresentare il primo circuito di monoscafi volanti iperveloci. Tutto sommato penso che sia stato bene che le condizioni dure, durissime, siano veramente arrivate in questa TJV, così da rendersi veramente conto dei problemi e dei limiti di questi nuovi ed inesplorati mezzi e provvedere, in questo anno che resta, ad una revisione e messa in sicurezza per il Vendèe Globe.

    1. Concordo pienamente con Nicola, ma purtroppo in questo sport c’è bisogno degli sponsor e non si può assolutamente esimere dalle loro esigenze.

  2. Non mi piace ne il tono ne i contenuti di questo articolo, molto sopra le righe: giornalismo in cerca di scoop sensazionalistici che genera solo confusione e disinformazione.
    Tipico il saltar subito alle conclusioni alla ricerca di un colpevole da mettere alla gogna mediatica: “E soprattutto, di chi cavolo è la colpa?”
    Chiedetelo a un tecnico in grado di progettare questo tipo di barche, a una persona impegnata in attività di ricerca e sviluppo, ma non a un velista. Cosa volete che ne sappia il povero Andrea Mura (a cui va tutta la mia simpatia); solo un utente di queste tecnologie che fa vele e va per mare.
    Personalmente non trovo niente di scandaloso che mezzi sperimentali mai progettati e costruiti prima entrino in avaria, anche con rischio di perdita di vite umane.
    Purtroppo è’ sempre successo in tutti i campi dell’Ingegneria; un prezzo da pagare.
    Non c’è ancora sufficiente esperienza e Verdier (uno dei migliori tecnici oggi in attività!) aveva sconsigliato.
    E’ come quando il medico ti dice di non fare e tu fai lo stesso.
    Chi è colpa del suo mal……

  3. Articolo coretto, chi sbaglia paga, sono ingegneri mica farlocchi!! hanno fatto errori da pivelli con materiali in uso da decenni, esistono programmi che aiutano nel calcolo a seconda della forma e della quantità dei rinforzi strutturali e del tipo di materiale impiegato

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