LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/4
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Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Proprio da questo libro è tratto il racconto di cui trovate qui la quarta parte.
Cambio rotta inseguendo voli e tuffi di gabbiani in lontananza: una mangianza sulla scia di un branco o di un grande pesce? (“Gli uccelli! Gli uccelli!” Gridò Tashtego. In lunga fila indiana, come quando gli aironi pigliano volo, gli uccelli bianchi correvano ora tutti verso la lancia di Achab; e quando furono a poche jarde, cominciarono a svolazzare lì sull’acqua, roteando tutt’intorno, con gioiose strida d’attesa”). No, è solo il corteo alato che accompagna due pescherecci, impegnati a trainare in coppia. I marinai salutano, alzando le braccia e sventolando una cerata gialla. La raganella parte un paio di volte: balzo in piedi, motore in folle, canna alla cintura, raffio a portata di mano.
Ma la preda non combatte, è un peso morto: si capisce subito che è un maledetto sacchetto di plastica. Odio la plastica. è ovunque nel mare e sulle spiagge: sacchi della spazzatura, bottiglie, tappi, posate rotte, pezzi di tavoli e di sedie, custodie per occhiali, taniche, suole di scarpe, accendini… Un branco di tonnetti ci passa proprio accanto, eppure niente, nemmeno un cenno di interesse per i miei appetitosi e variopinti rapala.
“Tonno in scatola per pranzo?” infierisce Francesco.
Ma avvistiamo i delfini, ed è sempre una festa. Sono loro, in realtà, ad avvistare Blue Gal e a giocarci intorno: nuotano a prua incollati alla chiglia, sfiatano e fischiano, si girano sul fianco per guardarti, si allontanano con uno scatto fulmineo, poi ritornano, passano sotto la barca, così vicini sul pelo dell’acqua che puoi quasi toccarli. Sono quattro, poi dieci, e altri ne arrivano: una grande famiglia con gli anziani dalla fronte rugosa, i giovani che guizzano veloci, le mamme con i piccoli che saltano sull’onda e, inesperti o burloni, ricadono di schiena sollevando spruzzi di frizzante spuma bianca.
A Cirò Marina mi avvicino con cautela dopo aver letto le scarne annotazioni del portolano: “in costruzione”, “massi affondati”.
A nord di punta Alice si vede un impianto industriale con pontile di caricamento (minerali?) e alcuni magazzini; poi l’ingresso del porto, fondali di 4-5 metri. La massicciata esterna è stata danneggiata da una sciroccata invernale: il fanale rosso, divelto dai marosi, non funziona. Tutte le banchine sono occupate dai pescherecci e dai motoscafi. Non ci resta che ormeggiare affiancati a un barcone da pesca che – ci dicono – stanotte non esce. Sistemate le cime e riordinata la barca mi guardo intorno. C’è un trenino a scartamento ridotto che transita tra le case sul lungomare. Il paese ha un aspetto desolato e il porticciolo è in stato di semi abbandono: nessun servizio a terra.
Siamo in territorio di ’Ndrangheta e le cosche calabresi, a differenza di quelle siciliane, non hanno interesse a sviluppare il turismo e a entrare nel giro degli appalti edilizi. Si occupano d’altro, soprattutto traffico di cocaina con i cartelli colombiani e messicani. Non vogliono turisti tra i piedi. Non mi dispiace affatto: Blue Gal, per una volta, è l’unica vela in porto.
Sulla banchina un camion frigorifero carica cassette di polistirolo piene di gamberi e di totani. Su una barca due uomini brigano con seghe e coltellacci. Mi avvicino: stanno ghigliottinato un grosso squalo, un “pesce vacca” o squalo capo piatto. Gesti professionali e sangue a fiumi. Non posso fare a meno di pensare ai video che ho trovato a Kabul: ostaggi decapitati dai seguaci di Bin Laden. I due fortunati gettano testa, pinne e coda in mare e trascinano la preda fino alla cella della pescheria. La carne è ottima, affermano.
In Somalia le pinne non le buttano di certo. Qualche anno fa uscii una notte a caccia di squali con i pescatori somali. I killer dei signori della guerra – stufi di ammazzare e di essere ammazzati – si lasciavano convincere a cambiar vita: fino a quando si rendevano conto che uccidere uno squalo tigre era più faticoso che sterminare una famiglia somala e depredare la sua casa. Si andava al largo e si calavano le reti. Poi si aspettava l’alba battendo i denti per il freddo e la guazza e masticando germogli di Quat, la blanda droga euforizzante che toglie il sonno e la fame. I pescecani restavano impigliati nelle reti e si dibattevano per ore prima di morire soffocati. Quelli piccoli. Perché se si trattava di tigre, di martello o di squali bianchi bisognava finirli a colpi di lancia e raffiche di Kalashnikov. Le pinne valevano 95 dollari al chilo e andavano in Giappone; la carne essiccata finiva in Kenya, Burundi, Zaire e Centrafrica.
LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/1
LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/2
LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/3
Scopri tutti i reportage di Giovanni Porzio!
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1 commento su “LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/4”
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