LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/3
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Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Proprio da questo libro è tratto il racconto di cui trovate qui la terza parte.
Non puoi mai concederti un attimo di disattenzione, abbassare la guardia e dedicarti alla lettura. Non hai nessuno con cui conversare e finisci per parlare solo a te stesso o con la barca. D’ora in poi gli ormeggi saranno più agevoli e in navigazione potrò finalmente rilassarmi con un nuovo romanzo o rivisitando i classici obbligatori nella libreria di bordo: London, Stevenson ma soprattutto Melville e Conrad. E Borges, che è un altro oceano.
Di Joseph Conrad ho avuto da mio padre – che a sua volta l’aveva ricevuta da Ugo Mursia – una preziosa eredità: un frammento del tagliamare della nave Otago, il primo comando ottenuto nel 1888 dall’allora trentenne scrittore polacco in seguito all’improvviso scomparsa del precedente capitano. La vicenda è narrata nell’ineguagliabile racconto “La linea d’ombra”. E la reliquia dell’Otago è ora sul tavolo del mio studio.
Arriviamo a Gallipoli al tramonto, dopo avere bolinato al largo delle secche di Ugento. L’impatto è sgradevole. Hanno sistemato un paio di pontili galleggianti, messo su due prefabbricati con aria condizionata e divani bianchi e l’hanno pomposamente chiamata Club House del Marina Blu Salento: per una notte pretendono 88 euro (“è la tariffa, siamo già in alta stagione”), che scendono a 70 quando minaccio di andarmene (“Prezzo speciale: ci teniamo a soddisfare i nostri clienti”).
Nelle isole greche mi sono abituato male: si passano intere settimane senza andare in porto, ancorando al calar del sole (e del meltemi) nelle innumerevoli rade e in disabitate calette d’acqua cristallina, con una cima di poppa assicurata a una roccia o al tronco di una pianta. Grandi cieli stellati, lo sciabordio della risacca e al mattino il risveglio con le cicale. Se si va in porto è per fare acqua e carburante: l’ormeggio pubblico è gratuito e negli spazi privati, assai rari, si pagano pochi euro.
Purtroppo sulle coste italiane spesso prive – soprattutto nella Calabria ionica e nella Sicilia meridionale – di adeguati ridossi, di posti riservati al transito e con le banchine comunali perennemente occupate, la sosta negli esosi Marina privati è d’obbligo. Eccoci dunque incastrati tra due file di pacchiani mega-motoscafi, con il generatore sempre acceso per la tv, l’aria condizionata, i frigobar, e con gran sfoggio di pulsanti led da discoteca lungo la battagliola, sulla scaletta retraibile, sulla linea di galleggiamento. Ci sono anche, ebbene sì, gli immancabili e cimiteriali vasi di gladioli in bella mostra sul tavolo di poppa. Che tristezza!
Ma la città vecchia di Gallipoli (Kallipolis, la bella città) è ancora una meraviglia di chiese barocche, poderose mura, vie saracene, palazzi con i balconi sul mare, il Castello angioino, vetuste farmacie, un frantoio a ipogeo del XV secolo e un mercato ittico che è una sinfonia di pesce freschissimo e di profumati frutti di mare serviti crudi sulle bancarelle.
Neppure il sashimi dei migliori ristoranti giapponesi può reggere il confronto. Un entusiasmo che si smorza all’ora del passeggio, quando i vacanzieri si riversano nelle stradine del centro e sciamano per i negozi di “prodotti tipici”, tra salami e orecchiette, finti coralli e conchiglie plastificate, sandali cinesi e borse marocchine. Non mancano i parei e le dubbie pashmine, gli incensi e i tatuaggi, i dvd e i busti in gesso di Padre Pio: l’intera gamma del consumo d’accetto che si ritrova, con trascurabili variazioni, a Bali come ad Acapulco o nei bazar del Cairo.
Anche l’abbigliamento denota una sconvolgente mancanza di gusto: uomini in mutande che ciabattano spingendo passeggini e donne che zampettano sui tacchi a spillo. Nel frenetico e inebetito andirivieni da una gelateria a una vetrina di scarpe nessuno alza lo sguardo per ammirare la facciata della cattedrale di Sant’Agata. Non c’è di che stupirsi nel Bel Paese dove il ministro dell’economia non si vergogna di affermare che “la cultura non si mangia”: il patrimonio artistico che l’universo c’invidia – il nostro petrolio – sembra interessare solo agli stranieri.
Meglio battere in ritirata al porto commerciale, tra i pescatori intenti all’immutabile mestiere del mare: riparano i tramagli, addugliano i palamiti, sistemano le lampare e le cassette di legno. Hanno la stessa espressione assorta e silenziosa dei pescatori greci, turchi o tunisini, le stesse rughe sulla fronte, la stessa pelle cotta dal sole. Li vediamo calare le reti dalle motobarche, al mattino, a poche miglia dalla costa, mentre Blue Gal prende il largo per la rotta della traversata ionica: 120 miglia per sudovest, destinazione Cirò Marina, Calabria. Tutta a motore, purtroppo. Eolo non ci assiste, ma al timone c’è il pilota automatico e il mare è una tavola liscia di un opaco azzurro cilestrino che scurisce e s’increspa appena è sfioata dall’alito di una brezza errabonda: l’ideale per filare le lenze dalle due canne fissate al pulpito di poppa nella speranza di agganciare un tonno o una lampuga. Armeggio con l’esca per ore, incurante dello scetticismo generale e dei commenti ironici di Francesco (“Papi, quand’è l’ultima volta che hai preso un pesce?”).
LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/1
LETTURE D’ESTATE Da Brindisi a Roccella Ionica/2
Scopri tutti i reportage di Giovanni Porzio!
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