Giovanni Porzio è uno dei più grandi reporter italiani e un appassionato velista. Nel suo libro “Il mare non è mai lo stesso” ha ricreato l’essenza del reportage, ovvero “riportare” da un viaggio notizie, ma anche racconti, sensazioni e immagini. Proprio da questo libro è tratto il racconto di cui trovate qui la terza parte.
Il porticciolo è semivuoto. Come mai? Il Comune ha tolto luce e acqua alle banchine per “mancato collaudo”, in realtà perché si oppone al progetto della società Ma.Fra. di Somma Vesuviana che ha ottenuto l’appalto (e i finanziamenti europei) per ingrandire il porto, all’interno della zona protetta del parco di Nettuno. La magistratura ha bloccato i lavori, ma un tratto della scogliera è già stato cementificato, compreso il “grottone” che metteva in comunicazione il mare con lo specchio interno del porticciolo consentendo il ricambio e la pulizia dell’acqua.

Rotta su Ventotene. E finalmente il vento gonfia il genoa! Un vento benevolo, allegro e spensierato, al traverso e di bolina larga. Quando nel 1958 il Ganymede passò accanto all’isolotto di Santo Stefano il penitenziario borbonico era ancora in funzione. “I reclusi a vita” cito sempre dal Diario “sono 250 e con essi vivono tra guardie carcerarie carabinieri e famigliari di questi ultimi oltre 700 persone. La gran rocca, tempestata di finestrelle a imbuto per permettere la sola vista del cielo, opprime chi la guarda”.
Mussolini vi fece rinchiudere il meglio dell’intelligenza socialista: da Pertini ad Amendola, da Terracini a Lelio Basso. Qui, nel 1941, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi redassero il Manifesto di Ventotene, prima pietra della futura costruzione europea. Ma sono in pochi, oggi, i turisti che sbarcano sulla rocca e scarpinano lungo il viottolo sterrato fino al grande edificio circolare invaso dalle erbe selvatiche: un luogo che dà i brividi, con le lapidi di rito e le sbarre arrugginite delle celle.
Solare, quasi un contrappasso, è invece il grazioso e lindo villaggio di Ventotene, con i caffè ombreggiati, gli orti, i davanzali con i vasi di gerani e di basilico, l’acqua turchese, la chiesa settecentesca, le piscine romane e l’antico porto scavato nel tufo, con gli archi e le bitte intagliate nella roccia dove un tempo davano volta le gomene delle triremi dell’Urbe.
Il bollettino è favorevole alla lunga traversata verso la Sardegna: 200 miglia di mare aperto per 95°, destinazione Tavolara. Ci mettiamo in rotta nel pomeriggio e poco prima del tramonto, alla buon’ora!, aggancio un tonnetto di una quindicina di chili: l’onore è salvo e posso fumarmi un hemingwayano Cohiba assaporando le note celestiali di un concerto di Mozart.

Al contrario di Gabriella, assalita da una vaga e misteriosa inquietudine, navigare di notte mi è sempre piaciuto, anche se con l’equipaggio ridotto all’osso è senz’altro faticoso. Confesso che non chiudo occhio neppure con la ciurma al completo e i turni prestabiliti. Ma sdraiarsi nel pozzetto con il cielo stellato come soffitto e ascoltare il fruscio dello scafo che scivola nell’onda scura scavando a poppa un’argentea scia di spuma e di scintillanti noctiluche è un’esperienza esaltante. Se poi, come stanotte, il vento spira al lasco e il Tirreno è placido sotto lo spicchio della luna, cos’altro puoi chiedere al grande mare?
Luci di navi che si avvicinano rapidamente e si allontanano: solo una volta devo modificare la rotta per tenermi a distanza di sicurezza. Poi lo sbuffo di un delfino che intravedo appena: un’ombra furtiva nel chiarore dell’alba, nell’ora fredda che precede il sorgere del sole.Un caffè bollente, mentre osservo i colori che si liberano nel giorno: il rosa delle nuvole a levante, il grigio perla del mare che si tramuta in azzurro pallido, prende consistenza, si scrolla di dosso i riflessi violacei della notte e mostra infine il suo blu profondo.
La Tavolara è in vista e i cumuli da nord, torri alte e maestose, annunciano il maestrale. Risaliamo la costa bolinando fino alla Maddalena: a cala Abbatoggia gli amici Sandro e Stefano Boeri, inveterati pescatori, ci aspettano per cucinare il nostro tonno sulle braci profumate di mirto. Ma il maestrale continua a rinforzare e il giorno dopo, con un fazzoletto di fiocco, filiamo a 8-9 nodi verso sud in cerca di un ridosso: a Porto Massimo chiedono 160 euro e a Cala Spalmatore (Caprera), dove è vietato ancorare, per un gavitello nell’affollata rada ce ne vogliono 90. Cerchiamo un’alternativa.
LETTURE D’ESTATE Dalle Eolie alla Sardegna, passando per le isole campane/1
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