Il nuovo G4 di Gunboat, ovvero il primo catamarano con da crociera dotato di foil e quindi “volante”, vi ha fatto discutere non poco. C’è chi applaude la novità e chi invece rimane ancorato su posizioni più classiche. Intanto a noi in redazione, mentre guardavamo le foto del G4 in navigazione, ci è venuto in mente un articolo che Davide Besana aveva scritto sul Giornale della Vela nel dicembre del 2012, in collaborazione con Roberto Biscontini ed Edoardo Bianchi. Un articolo con un titolo un po’ provocatorio, “L’Era Daltonica” e corredato di una vignetta allora “futuristica” (la trovate riprodotta qua sopra) dove si prevedeva l’uso dei foil per il diporto. Ecco l’articolo completo:
L’ERA DALTONICA
“Le prime immagini sono state addirittura accolte con scetticismo dai velisti in rete che hanno accusato qualche bontempone di aver usato photoshop per divertirsi alle loro spalle, ma l’indomani è arrivato il film vero e proprio. Cavoli, questo vola davvero! Perché New Zealand ha spaccato e i suoi predecessori no? Di aliscafi a vela ce ne sono in giro dagli anni settanta, i record di Hydroptère sono stati registrati e immortalati in mille modi, ma questa volta tutti gli esperti di vela al mondo (cioè tutti quelli che almeno una volta hanno tirato due bordi) hanno dovuto ammettere l’esistenza dell’idrovela e la effettiva efficienza del sistema. Siamo passati dal dirigibile all’aeroplano, e Dalton si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Mediaticamente ha avuto una fortuna sfacciata pari solo alla sfortuna degli americani di Oracle che si sono fatti beffare dal gioco che hanno costruito, ricordandoci una volta di più la storia del Golem che si ribella.
I FOIL PER ANNULLARE IL DISLOCAMENTO
Vediamo un po’ cos’è successo. Finita l’ultima Coppa America Larry Ellison decide di continuare per la strada degli svizzeri di Bertarelli e di migliorare il sistema spettacolo della coppa, trasformandola in una macchina stampaquattrini come la Formula Uno cui si è ispirato lo svizzero o meglio il football americano. Per incollare milioni di tifosi davanti allo schermo bisogna rendere le regate semplici come una gara di nuoto e spettacolari come Indianapolis. Quindi campo piccolo, barche veloci e soprattutto simili, con una formula molto stretta che impedisca agli altri di inventare qualche diavoleria come la “mia” ala o il catamarano di Dennis Conner. Da bravo americano di successo – ha vinto una Coppa America, perdinci, sarà mica un cretino! – Ellison si sarà convinto di poter vincere di nuovo anche ad armi pari grazie ai suoi fantastilioni di dollari che avrebbero fatto convergere a San Francisco i migliori tecnici del pianeta. Ma le cose sono andate diversamente. Chi ha scritto il regolamento di coppa si è preoccupato di impedire la costruzione di aliscafi, e infatti si può tenere in acqua solo una deriva per volta, quella sopravento deve essere comunque sollevata. Ma questa volta i designers che hanno scritto il regolamento non sono quelli che progettano le barche, per fare le ali che hanno sostituito albero e randa sono stati chiamati esperti di aerodinamica che avuto in mano il regolamento tirano fuori dal taschino il regolo calcolatore si aggiustano i pince nez sul naso e dopo una pausa ad effetto gelano la sala con la stessa identica parola: hydrofoil. Gli aliscafi non sono una novità, si è cominciato a parlarne nel diciannovesimo secolo e in Italia il primo è stato messo in acqua nel 1905, quindi due anni dopo il primo volo dei Fratelli Wright da quel Forlanini cui i milanesi avrebbero poi intitolato il loro aeroporto. La loro superiorità nasce dalla sostituzione del galleggiamento, che implica il dislocamento cioè tenere le chiappe a mollo notte e giorno, con una spinta di sostentamento creata dal flusso dell’acqua sulle ali. Visto che la velocità è limitata dal volume immerso solleviamo la barca e il suo dislocamento cala drasticamente.
UN’INNOVAZIONE CHE COSTA MOLTO
Nel caso degli AC 72 si passa dallo spostamento di una massa di sette metri cubi d’acqua a quello di un centinaio di litri, tanto quanto il volume della deriva e del timone immersi; la resistenza di un’autobotte diventa quella di uno scooter, mentre la potenza rimane la stessa. I vari esperimenti si sono evoluti con una conformazione tradizionale e molto semplice delle superfici portanti, che dall’Icarus dei primi anni ’70 all’odierno Hydroptère passando per Whites Dragon, il primo italiano che nessuno si è filato anche se vola con due metri di aria al secondo, si sostengono su due ali anteriori e posteriormente sul timone a T rovesciata che ha una aletta per sostenere la poppa e ridurre il beccheggio. Il sistema ha dato ottimi risultati ma non ha portato grande innovazione nel diporto perché il carbonio costa, così come costano i sistemi di controllo che potrebbero rendere più sicuro il mezzo, è difficile ormeggiare e nessuno vuole correre contro questi attrezzi, che gli esperti velisti (quelli eccetera eccetera) vorrebbero non esistessero. Ma se si tratta di portarsi a casa la Coppa il discorso cambia, e in pochi minuti si può immaginare la forma di una deriva che possa dare sette tonnellate di spinta sopra ai venti nodi di velocità, oltre che un timone che impedisca di far fare le capriole al tutto appena si forma un po’ d’onda. A quaranta nodi se esce dall’acqua son dolori, facendo un semplice paragone sarebbe come perdere la coda di un aereo. Aereo. Già, a differenza dell’aereo, che naviga nell’aria, un aliscafo naviga metà in acqua e metà fuori, paradossalmente deve stare attento a non uscire troppo dall’acqua perché le derive devono anche contrastare lo scarroccio e se escono addio. I team di Coppa America sono arrivati alla stessa conclusione, con le loro derivina a L che riesce a sostenere tutto il carico con – per ora – grande equilibrio, anche grazie a un regolamento che permette di ruotarla in ogni direzione facendole dare sempre la potenza desiderata.
PERCHE’ ESSERE NEL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO
Questo ci fa capire che non si tratti tanto di genialità, come quella che ha colpito Eric Tabarly quando decise di sostituire gli scafetti del suo trimarano con due foilers, ma di progresso tecnologico. Oggi si vola perché gli scafi normali li abbiamo spremuti fino al torsolo e con delle semplici planate più veloci non si può andare. E torniamo alla sfortuna degli americani: il catamarano volante il primo giorno, sotto gli occhi di tutti e con televisioni alle calcagna ha spaccato una deriva. Orpo, che rogna! Cambiamola! No, non si può. Il regolamento, che loro stessi hanno steso prevede che da qui alla coppa si possono costruire solo cinque coppie di derive e ovviamente prima di fare il secondo paio i nostri hanno voluto provare il primo, sicuramente imperfetto strutturalmente, e così tutto il mondo ha parlato della barca di Grant Dalton che giorno dopo giorno si perfezionava migliorando assetto e velocità mentre i defenders si sono rinchiusi a resinare e rosicare in un hangar.
UN PO’ COME I FRATELLI WRIGHT
E così entriamo nell’era Daltonica, in cui tutto il merito viene dato a chi si era nel posto giusto nel momento giusto così come è capitato ai fratelli Wright, che citiamo senza sapere che stiamo parlando di due dei fratelli Wright, che erano sette, di una famiglia colta con un padre reverendo che aveva una grande biblioteca, fatto inusuale ancor’oggi in America, e una mamma instancabile che gli trasmise la sua manualità. Quei fratelli Wright si trovarono al momento giusto nel posto giusto, e benché fossero dei somari a scuola respirarono a casa sogni e progetti e pensarono che fosse possibile portare avanti il volo che in tanto stavano studiando e testando. Vinsero loro, che nell’hangar costruito a Kitty Hawks riuscirono a montare il trabiccolo volante e tirarono a sorte per pilotare il primo lancio (non vi dico chi ha vinto), anche se la storia dell’aviazione conta centinaia di tecnici o pazzi scatenati più o meno conosciuti che traversarono il bosforo in aliante nel medioevo, si fecero catapultare per aria da giganteschi petardi o morirono per un semplice schianto fra le colline del Nord Europa. Erano mica normali quei due fratelli Wright: prima di darsi al volo avevano inventato il freno a pedale, che ancora oggi usiamo e con le loro biciclette diventarono abbastanza ricchi da poter rischiare l’osso del collo con la loro mania. Ma alla fine ce la fecero ed entrarono nella leggenda. Grant Dalton non ha inventato niente, si è trovato al posto giusto nel momento giusto e sarà ricordato per sempre per quella lunga planata che ci ha portato nell’era Daltonica in cui finalmente le barche possono sfruttare la forza del vento e smettere di trascinarsi come tartarughe sulla sabbia”.