Paolo Rizzi: "Io, pendolare degli oceani"
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Non può essere che una vita in mare e per il mare, quella di un uomo che ha sulle spalle più di 200mila miglia in barca. Nato il 5 ottobre 1959 a Trieste, Paolo Rizzi sale a bordo fin dalla più tenera età: “I miei genitori”, racconta, “erano grandi appassionati di vela. Già a 3 anni ero assieme a loro a zonzo per le coste della ex-Jugoslavia su un 5.50 Stazza Internazionale, il Vento Fresco I”. Appena l’anagrafica glielo consente, Rizzi compie il percorso che lo accomuna a tanti velisti della sua generazione, salendo su Optimist, Cadet, Flying Junior e 470 alla Società Triestina della Vela.
PERCHE’ STARE AL PASSO COI TEMPI?
Verso la fine degli anni ’60 la famiglia di Rizzi decide di acquistare un New Optimist 38, IOR terza classe progettato da Dick Carter, ribattezzato Vento Fresco II: “Con questa barca vincemmo il Campionato dell’Adriatico e nel 1973 la Barcolana”, ricorda Rizzi, “poi non riuscimmo ad adeguarci (né lo volemmo) all’evoluzione che stava investendo il mondo dello yachting, sempre più competitivo, appassionandoci alle lunghe navigazioni ed entrando in una dimensione crocieristico-esplorativa”. Rizzi comincia a macinare miglia, ventilando l’ipotesi di diventare skipper di professione.
NASCITA DI UN “MACINAMIGLIA”
Nel 1980, per conto di un privato, è alle Bahamas come comandante (assieme a Franco Barovina) del trimarano di 80 piedi Great Britain III: “A soli 20 anni ero lo skipper di quello che allora era il più grande trimarano al mondo. Sono stato a bordo per quattro mesi, facendo la spola tra Palm Beach, in Florida, e le Bahamas”. Paolo si fa le ossa ed è pronto per la sua prima, grande avventura: “L’occasione si presentò nel 1983 con l’arrivo nella mia città di un armatore italo-australiano, con origini triestine, che voleva portare la sua barca, il Sabaloo, uno sloop di 15 metri progettato da Laurent Giles, da Trieste a Melbourne. Assieme ad altre due persone partimmo alla volta dell’Australia passando per il canale di Panama, arrivando nel 1984. Sedicimila miglia, avevo coronato un sogno che coltivavo fin da bambino: quello di poter navigare liberamente, senza velleità di classifica, avendo cura e rispetto della natura circostante”.
LE SFIDE A META’ DEGLI ANNI ’80
Nel 1985, Paolo compie un’altra impresa: assieme alla madre Angela partecipa sul Vento Fresco II all’unica, mitica edizione della Brooklin Cup, la prima regata transoceanica italiana voluta da Giorgio Falck, da Portofino a New York: “Io avevo 26 anni, lei 52. In barca si rafforzò un rapporto ancora più solido di quello che già avevamo: non c’era nessun segreto tra noi. Arrivammo primi nella nostra categoria, ed eravamo la barca più piccola!”. Per non farsi mancare nulla, Rizzi riporta subito la barca a Trieste una volta conclusa la regata. Nell’87, sempre con Vento Fresco, è alla seconda edizione della ARC, che allora partiva dalle Canarie ma arrivava alle Barbados, nell’88 riporta la barca dai Caraibi a Trieste. Lo stesso anno (sempre sul suo fidato sloop), porta a termine un’altra impresa: in 52 giorni compie la traversata senza scalo da Tortola (Isole Vergini Britanniche) a Trieste, assieme all’amico Massimo Fonda: “Quelle seimila miglia furono una sfida a noi stessi”.
LA PARENTESI WHITBREAD
Il nome di Paolo Rizzi comincia a circolare nel mondo della “vela che conta”: “Venni convocato dal famoso skipper triestino Daniele Degrassi sul Gatorade di Giorgio Falck, per partecipare all’edizione 1989/90 della Whitbread (giro del mondo a tappe a vela, ndr): seguii l’intera preparazione della barca da Sangermani in Liguria, presi parte alla Ruta de Descubrimiento (da Cadice a San Salvador), al trasferimento da St. Thomas, nelle Isole Vergini Statunitensi, a Lavagna e alla prima tappa della Whitbread, da Southampton a Punta del Este”. In Uruguay decide di sbarcare: “Avevo iniziato a bordo come capoturno assieme a Guido Maisto, ma un membro dell’equipaggio si infortunò e venni degradato al ruolo di addetto al coordinamento radio. Un po’ deluso, decisi di abbandonare”.
SALVO PER MIRACOLO IN ATLANTICO
Gli anni successivi sono un susseguirsi di traversate oceaniche: il 12 maggio 1993, assieme all’amico Andrea Pribaz, sta tornando dai Caraibi con il Vento Fresco II. A 700 miglia dalle Azzorre i due vengono investiti da una burrasca (con venti oltre i 60 nodi): “Le onde montarono in fretta fino a raggiungere i 15 metri di altezza”, racconta Rizzi, “un frangente ci sollevò da poppa e l’onda si franse sopra di noi, strappandomi dal timone. Una volta fatto capolino fuori dall’acqua, vidi la barca capovolta. Per fortuna aggrappandomi a delle cime in bando riuscii a risalire a bordo. Vento Fresco era squarciata, dovemmo salire sulla zattera. Non c’era tempo per fare valutazioni romantiche, dovevamo salvarci.
La radio non aveva pile. Riuscii a collegarla a delle batterie creando un ponte radio con dei cerotti e il cavo della lampadina del giubbotto salvagente (nella foto a lato). Rimanemmo alla deriva per 7 giorni, quando vedemmo all’orizzonte una nava provai a sintonizzarmi sul canale di emergenza 121.5. Mi risposero. Ma non dalla nave, bensì da un aereo di linea che stava sorvolando la zona a 10mila metri di altezza. Il pilota comunicò le nostre coordinate alla Guardia Costiera americana, che dirottò su di noi l’Alidon, un cargo cipriota che stava navigando dalla North Carolina alla Scozia”. A Trieste i due, dati per spacciati, tornano da eroi. Rizzi due anni dopo aver perduto la barca di famiglia ritorna alle traversate oceaniche. Ad oggi, come documenta il suo sito www.atlanticvertigo.com, ne ha portate a termine 17. E potete stare tranquilli che non si fermerà qui.
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