BEST OF 2014 – Alla scoperta del magico… Nauta Touch
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Se guardi fuori dalle finestre del loro studio, in un grande appartamento del centro di Milano, lo scorcio è quello dell’Arco della Pace, guarda caso uno degli interventi urbanisti più discussi della città, che meglio rappresenta l’Italia del design. A pochi passi da qui ci sono studi importanti, come quello dove Achille Castiglioni accumulava oggetti per il suo lavoro fino a diventare uno dei maestri del design. Stiamo parlando di Nauta Yachts, una delle certezze di questo “made in Italy” nautico che ci colloca nei gradini alti della considerazione mondiale. Leggerete nell’intervista che segue come il loro successo sia il frutto di una grande passione e di un inizio voluto ma anche un po’ casuale e avventuroso. Una di quelle storie che somiglia al costruire e inventare computer in un garage, dove il motore del successo è la propria grande passione. Il portavoce dello studio è Mario Pedol, del terzetto fondatore nell’85 dello studio che nasce come cantiere costruttore resta con lui Massimo Gino. Nello studio una quindicina di ingegneri, architetti, yacht designer. La firma Nauta è ormai su decine di barche, dalla più grande del mondo, il megayacht Azzam lungo 180 metri, alle più piccole e per certi aspetti più difficili imbarcazioni della produzione Beneteau.
Mario, come si comincia a disegnare le barche?
“La prima risposta è abbastanza banale: per passione. Ma c’è anche il piacere di illustrare e descrivere con la mano le proprie idee. Lo facevo con le moto e le automobili a scuola, poi quando è arrivata la passione per la vela sono anche arrivate le barche: c’è qualcosa di genetico nell’essere portati a un certo tipo di espressione. Io ho studiato alla Bocconi, poi un bel giorno dopo sedici esami è venuto da me Massimo Uggè, con il quale facevo le regate sul suo Show 29 proponendomi di realizzare un minitonner, classe nascente a fine degli Anni Settanta. Mi raccontava che aveva incontrato in estate una persona che poteva essere uno dei primi clienti. Insomma, quella persona era Pigi Loro Piana… con cui sono rimasto legato fino a ora”.
E’ stato un buon inizio.
“Eravamo ragazzi veri, avevamo vent’anni, ma abbiamo trovato subito un cantiere che ci ha finanziato il progetto di Andrea Vallicelli, un piccolo Ziggurat, barca con cui aveva appena conquistato il terzo posto alla Half Ton Cup di Trieste. Siamo stati al nostro primo salone di Genova ottenendo in uso come stand una roulotte Elnagh. Abbiamo venduto subito sette barche di cui alcune sulla carta. Il mini si chiamava Avventura 703: con quello abbiamo trasformato la nostra passione in lavoro. Era la fine degli anni ’70”.
E dopo com’è continuata?
Ho frequentato il corso dell’ISAD (Istituto superiore di architettura), un anno di studio intenso con i maggiori professionisti del tempo: Fulvio De Simoni, Epaminonda Ceccarelli, Massimo Gregori, Sergio Abrami, Andrea Vallicelli. è stato molto formativo e ha segnato il mio definitivo cambio di rotta. Io bevevo segreti ogni giorno e mi piaceva moltissimo. Scoprire come funziona la barca e quali sono i trucchi era molto bello, erano risposte agli interrogativi che mi ero sempre posto”.
Da dove arriva il nome che avete scelto per la vostra realtà?
“Il nome Nauta è nato subito da una mia invenzione, avevo visto una barca con quel nome durante l’estate e mi aveva colpito perché contiene tutto quel che serve, è un messaggio completo. C’è stata Nauta Import, eravamo importatori degli Oyster, che allora erano barche da regata crociera, ne abbiamo venduti quattro. Poi, dopo la scuola abbiamo fondato Nauta Yachts, che è ancora la nostra società principale. Nauta Design è il nome che abbiamo scelto per identificarci meglio con la nostra missione. Noi coordiniamo tutto il lavoro di progetto fin dal preliminare, che contiene già alcuni elementi di architettura navale e struttura che vengono poi digeriti e lavorati dagli specialisti cui di volta in volta ci rivolgiamo, di fatto è un lavoro di progettazione”.
Che rapporto avete con la parola “design”?
All’inizio, diciamo la verità, ho provato anche un po’ di soggezione, perché è un mondo dove se la tirano tutti un sacco, per cui noi che siamo quasi autodidatti e non “Architetti” eravamo in soggezione. Quando scopri che sei bravino e i meccanismi sono quelli che usi tu, ma anche quelli che usano i grandi, ti senti più dentro. Da questo punto di vista è stata illuminante la barca che abbiamo fatto per Renzo Piano: lui è appassionatissimo, ci chiamava tre volte al giorno e stavamo giornate intere ad Arenzano e non ti faceva mai pesare il suo status o la sua celebrità. Per cui condividere i percorsi, fare gli stessi ragionamenti, scoprire che si viaggiava in sintonia è stata una rassicurazione. Direi che a questo punto il titolo ce l’abbiamo…”.
Quale considerate il primo grande successo?
“L’esordio della attuale Nauta Yachts con il 54 esposto al Salone di Genova 1986 è stato un successo con complimenti a pioggia: era innovativo, con due pozzetti e quattro cabine, che a quel tempo non esistevano su una dimensione del genere. Il layout standard era quasi sempre con una cabina a poppa e due cabine piccolette a prua. La scommessa era vinta, ma farlo non era come dirlo, dovevamo mettere insieme tutto, costruire e consegnare. Allora eravamo anche costruttori e non solo progettisti. In tre mesi abbiamo venduto due barche e il successo di critica è stato confermato”.
E la vostra barca manifesto?
“è certamente My Song (Nauta 84, foto sopra), perché nasce da una condivisione di idee totale con Pigi Loro Piana, che ci segue dall’inizio. Ha passione per le performance ma sa anche vivere il mare, la natura, la convivialità che ti da la barca, un appassionato colto. Ecco, se vogliamo parlare di un rapporto padre figlia è quella. è una barca del ’99 ma è ancora del tutto attuale per noi”.
Forse arrivare alla produzione di serie è un altro punto forte. “Sì. Un milestone della nostra storia è sicuramente il rapporto con Beneteau, una grande soddisfazione. All’inizio madame Annette Roux ha fatto un discorso preciso, tagliente come sa fare lei: ha ammesso di avere una rete di vendita e una organizzazione imbattibile, ma che ormai il loro prodotto non era più all’avanguardia come ai tempi d’oro. Per tornare a esserlo stavano cercando i migliori designer del mondo. Così sono nati Oceanis 45 e 50, con idee poi declinate in tutta la serie. Per uno studio abituato a lavorare su due tre pezzi one off all’anno questo lavoro è stato molto diverso. Con la produzione di serie abbiamo potuto rendere lo Studio più completo, perché hai una parte di fatturato assicurato con continuità. Il lato difficile è riuscire a convivere con tutti i vincoli tecnici ed economici che limitano in qualche modo le soluzioni di design. Ma è una sfida interessante”.
Dov’è l’innovazione guardando il futuro? Il mercato assorbe la tecnologia quanto pare agli esperti? “Un po’ come nelle automobili c’è il grosso del mercato, che è la berlina media da famiglia ma ci sono anche le gran turismo in minor numero, maggior costo, però ci saranno sempre. Nella nautica è un po’ la stessa cosa. Sul custom senza limiti di budget la tecnologia dà delle emozioni per chi se le può permettere che sono entusiasmanti, adesso stiamo costruendo da Baltic una barca davvero interessante. Nelle barche da famiglia l’innovazione è la semplicità, andare in barca a vela deve essere facile”.
Non abbiamo ancora parlato di Southern Wind.
“Southern è stato un altro passaggio importante. Ci eravamo rivolti a loro per costruire un 92 piedi, ma incredibilmente, dopo aver negoziato il prezzo e il contratto, Willy Persico ha detto che il suo manager in Sud Africa non se la sentiva di rispettare i tempi. è stato un atto di grande serietà, non so quanti altri lo avrebbero fatto. Quella barca è stata costruita da Cesare Sangermani, ma poi siamo ritornati a lavorare per loro, che hanno costruito quattro esemplari sulla base di quel progetto. Da li è nato un rapporto di stima da cui sono nate altre miniserie. C’era una buona progettazione, ma il mercato ci ha riconosciuto soprattutto buona qualità e buon prezzo. Adesso siamo al numero 15 del 100’. Nessuno al mondo ha fatto tante barche della stessa taglia”.
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