Vittorio Malingri: “Così ho affrontato la tempesta”

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imageVittorio Malingri, con la sua scuola di vela oceanica “Ocean Experience”, è attualmente in navigazione in centro America. E che navigazione! Time of Wonder è il suo ultimo amore: si tratta di una goletta-peschereccio il cui progetto è vecchio di oltre un secolo (veniva utilizzata per la pesca sui Grandi Banchi, un Pinky Schooner 45 (la barca di Vittorio è però del 1975).

Un grande navigatore come lui ne ha viste di cotte e di crude. Per cui, il racconto della tempesta da cui è appena uscito a La Romana, in Repubblica Dominicana, a bordo del vecchio due alberi “Time of Wonder”, non è certamente frutto di esagerazioni.

imageLA BONACCIA E I PROBLEMI CON L’ALTERNATORE
Dal blog di Vittorio Malingri: “Scusate l’interruzione di qualche giorno, leggendo capirete il perché. In due parole possiamo dire che: la seconda parte della traversata, dal centro dell’anticiclone in giù, invece di essere quella in “discesa” si è rivelata quella in “salita”. Eravamo rimasti al 30 ottobre con poco vento, un centinaio di miglia a SW di Bermuda che “sbolinavamo” per andare a prendere un vento portante in arrivo da NW che ci avrebbe portato rapidamente a destinazione regalandoci la parte tropicale di navigazione negli alisei dell’anticiclone americano. Mi ero dimenticato di dirvi che nella lunga smotorata abbiamo avuto problemi di alternatore. Ogni tanto smetteva di caricare e io, toccando fili vari, sono sempre riuscito a farlo funzionare. Poi abbiamo avuto un calo di giri nel motore e cambiato serbatoio pensando che fosse finita la nafta. Dopo mezz’ora si è spento il motore, anche se il serbatoio nuovo era pieno fino all’orlo.

Abbiamo due serbatoi in ferro, di cui uno recentemente riparato, tutto bello verniciato in epossidica che nel complesso ispira tanta fiducia. Col cavolo! qualcosa continua ad ostruire il pescante e non esiste modo di accedervi senza smontare mezzo pozzetto. Per farla breve, anche quell’altro si era otturato ma questa volta di ruggine. Ho soffiato in entrambe le linee della nafta prima a polmoni e poi con la pompa del gommone, e le ho sturate. Ma mentre quella di sinistra ha ripreso a fare passare gasolio in modo regolare e mi è bastato riempire e svuotare il filtro decantatore 3-4 volte per eliminare il fondo rugginoso, il pescante del serbatoio di dritta si ritappa all’istante. Nafta ce n’era in entrambi i serbatoi più due taniche di riserva e quindi ho soprasseduto pensando, all’occorrenza, di continuare a riempire il serbatoio di sinistra con le taniche e poi succhiando con un tubo dall’imbarco svuotando il serbatoio di dritta.

Il fondo del pozzetto è anche il portello di accesso alla sala macchine. È bello tosto e pesante, lo ribalto verso prua appoggiandolo alle panche. Stupidamente non lo assicuro, pensando al rollio e non al beccheggio. Ad un ceto punto mentre tutto filava a meraviglia dal profilo nafta e serbatoi e io guardavo soddisfatto le stelle pulendomi le mani, me lo sono preso in fronte di netto. Per buona sorte la ferramenta che lo chiude, e che mi avrebbe aperto il cranio in due, era solo 5 cm più a destra, e io – sembrerebbe – ho anche la testa dura e non solo metaforicamente. Felicemente ho retto il colpo e non sono caduto sul motore acceso e sull’asse dell’elica in movimento.
È andata bene!

ARRIVA IL VENTO…
Il 31 il vento è arrivato nel pomeriggio, a sera volavamo al lasco con tutte le vele a riva e un mare sempre meno incrociato. Nella notte abbiamo dato due mani e poi tolto tutta la randa di maestra. Verso l’alba del 1° Novembre ho terzarolato da solo la randa di trinchetto. C’erano 30 nodi e la barca, sotto trinchetta e yankee bella “tirata dal naso”, se la cavava egregiamente. Ho decantato le doti di Time of Wonder ma naturalmente ci sono anche i lati negativi. I “pescatori di merluzzo” erano gente intelligente e se ne avessero avuto i materiali e la tecnica che abbiamo noi oggi sarebbero andati a pesca con un Class 40 da carico o con un Open in generale che rimangono le barche più marine e robuste in assoluto tra tutte le imbarcazioni.

AMANTI DELLA CHIGLIA LUNGA, NON AVETE CAPITO UN C…
Agli amanti e sostenitori della chiglia lunga posso serenamente dire “non avete capito un cazzo”, siete dei nostalgici e dei teorici. È un ottima cosa per andare diritto, fine dei vantaggi. Ma a volte capita anche di doverle fare girare le barche… e a volte capita di doverle fare girare “a bomba”, magari prima di essere disintegrati da un frangente.

imageTUTTA VELA PER FAR CORRERE LA BARCA DAVANTI AL MARE
Comunque tornando a noi… Il vento si è stabilizzato sui 35 nodi, raffiche a 40, con onde frangenti di 5-6 metri. La barra del timone in spruce, contrastando le straorzate ad ogni onda, si torceva a livelli inimmaginabili. Mentre per ore ho messo in campo tutta la mia esperienza e abilità di timoniere con vento forte, ho occupato il mio cervello a pensare sistemi di rimpiazzarla una volta che si sarebbe rotta, perché era chiaro che si sarebbe rotta. Per fortuna Andrea, che mi rileva alle 4 del mattino, è un timoniere discreto e non ha avuto problemi per metà dal suo turno. All’alba c’erano 40 nodi e 6 metri d’onda frangente. Sentendo la barca che si muoveva stranamente mi sono svegliato, sono uscito e abbiamo prima ammainato lo yankee, poi la randa di trinchetto.

Ma la sola trinchetta era troppo poco per andare veloci (memore di Vito Dumas “in questi casi tutta vela per fare correre la barca davanti al mare. “Polaccone”, l’antenato del gennaker, “e mezzanella”). Quindi di nuovo su lo yankee. La parte brutta sono state le due passeggiate in fondo ai 4 metri di bompresso, senza crocette o rete sotto, per legare prima lo yankee e poi slegarlo di nuovo. Va da sé che in tutta questa storia abbiamo i giubbotti e le cinture di sicurezza incollati addosso. Con i soli fiocchi a riva per tutta la giornata non è cambiata la solfa, a parte una rotazione del vento in senso orario che da NW è passato abbastanza rapidamente a NE, reintroducendo un mare molto incrociato.

COME IL SERGENTE HARTMANN DI FULL METAL JACKET
Roberto ha un esperienza più limitata e, some succede a tanti, ha giustamente grande preoccupazione e conoscenza dei suoi limiti. Però questo blocca le persone e impedisce di concentrarsi su quello che fanno creando insicurezza. Con una mia collaudatissima ricetta, a base di imprecazioni prima, di insulti urlati a pochi centimetri dalla faccia poi, nel perfetto stile del mio idolo: il sergente Hartmann di Full Metal Jacket, l’ho smontato e rimontato psicologicamente in un oretta. Gli ho impedito di passare mano dicendogli che fino a che non imparava sarebbe rimasto incollato al timone. Se avesse causato danni e incidenti – e ne fossimo usciti vivi – la mia maledizione l’avrebbe perseguitato per anni. Ricordo che ad un certo punto gli ho detto che sempre fino a che non imparava sarebbe stato inchiodato lì senza bere e mangiare, e all’apice gli ho pure detto che quando avrebbe imparato gli avrei fatto scopare mia sorella. Sotto insulti e minacce urlati da un pazzo con un taglio in fronte, nel bel mezzo di straorzate e strambate cinesi in un contesto di molto seria tempesta, nel giro di un oretta ha imparato. Il giorno dopo però, in un debriefing sulla situazione, mi ha chiesto: “Ma tu ce l’hai una sorella?” e io guardando altrove “No. Non ce l’ho una sorella”. E Roberto mugugnando “Lo sapevo che non avevi una sorella”, e io di rimando “Però ho delle cugine!”.

LA PAURA PER IL TIMONE
Per tutta la notte il vento ha continuato ad aumentare e a girare. Al mio turno, quando è comparsa la prima luce del giorno, ho iniziato ad avere veramente paura che si rompesse il timone. La barca no, è una roccia. Planate oltre 10-12 nodi di sicuro; in una – su un treno di onde anomale – ho visto la barca in discesa a 45 gradi con il bompresso già tutto nel cavo dell’onda e la prua che rimaneva sul pelo dell’acqua per miracolo. Ho iniziato a timonare guardando dietro e non più davanti. Ho iniziato a non usare più il pettine per bloccare la barra all’angolo desiderato, ma reggerla sempre con le braccia cedendo apposta nei momenti di maggiore sollecitazione, sulla straorzate, in modo da alleviare lo sforzo e non farla rompere. Ho escogitato tutte le modifiche per render la barra, appena possibile, più solida e la barca meno orziera in generale.

Mi sono innamorato di questa barca e non la mollo. Penso di continuare a navigare con lei, forte di alcuni accorgimenti e delle bestemmie all’indirizzo degli amanti della chiglia lunga; ogni qualvolta dovesse servire a motivarmi e a tirare una nuova alba. Ad un certo punto un frangente mi ha portato via una panchetta che c’è all’estremità del castello di poppa. Non c’è niente che mi fa andare in bestia di più di qualcuno o qualcosa, che non sia io, che provoca danni alla mia imbarcazione. Non ostante l’ira ho continuato ad avere una sana paura fino a che il mare non si è addolcito e il vento leggermente calato. E lì, finalmente, ho passato la barra ad Andrea e sono crollato…

CENA A BASE DI COSTINE DI VITELLO
A sera avevamo ancora vento, girato ormai al traverso e molto meno. Reissate le rande, tutta quella di trinchetto e anche quella di maestra poi riterzarolata a due mani. Abbiamo volato per tutta la notte in un cielo che piano piano si schiariva e mostrava perfino qualche stella. Cena a base di costine di vitello e patate saltate in padella. Animi che si riprendono. Silenzi, ripensando al passato. Silenzi, contemplando una goletta lanciata nella notte nel mezzo dell’Oceano Atlantico del Nord… una brutta gatta da pelare in questa stagione.

Vittorio Malingri

CHI E’ VITTORIO
Uno dei maggiori navigatori italiani, da oltre quarant’anni nella vela come progettista, costruttore e navigatore oceanico. Primo italiano a partecipare alla Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza tappe e assistenza. Maestro di mare e ispiratore per generazioni di amanti dell’avventura e della vela oceanica. Ancora sul “pezzo”.

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1 commento su “Vittorio Malingri: “Così ho affrontato la tempesta””

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