Ambrogio Fogar: l’avventura è l’avventura

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10_FogarLa mia avventura alla scoperta di Ambrogio Fogar inizia come meno me lo potevo aspettare. “Mio padre era un uomo normale e sbagliava”. A dirlo è Francesca, la figlia del grande esploratore milanese, in un pomeriggio di fine gennaio. Seduti come vecchi amici sul divano di casa, Francesca è un fiume in piena di aneddoti, storie, retroscena di un Fogar anche privato, lontano dai riflettori. Lui che, per chi come me era un bimbetto delle elementari negli Anni ’80, era più un uomo di spettacolo, che un viaggiatore. Ci si sedeva davanti alla tv aspettando l’inconfondibile musica di “Jonathan”, il programma da lui ideato e condotto, che ha fatto da apripista a un nuovo modo di raccontare la natura. E l’avventura..
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QUELL’IDEA MALSANA DI ESSERE INVINCIBILE
“Tu pensavi quasi fosse un Piero Angela, un presentatore”, sorride Francesca. “Ma lui aveva uno spirito avventuroso insito in lui”. Certo, però, passare dal fare l’assicuratore a girare il mondo da solo in barca vela è un bel salto… “In realtà è stata più una cosa usata dalla stampa che non effettiva. Mio papà aveva l’avventura nel DNA, un po’ come ce l’hanno tutti i ragazzini. Lui crescendo non ha sedato questo istinto, perché era quello che amava fare, era come voleva vivere la vita, sia da un punto di vista di emozioni, di adrenalina, di guasconeria, di coraggio, ma anche per il confronto con la natura. Quel confronto che ti porta a effettuare una vera e propria ricerca interiore. è vero che studiò Scienze Politiche, ma la carriera di assicuratore iniziò più per volere di suo padre. Lui non ne aveva voglia: andava in ufficio una volta alla settimana, prendeva e partiva per pedalare ovunque. Un po’ se ne fregava. Il suo chiodo fisso era riuscire a vivere e lavorare di ciò che amava fare”. L’avventura nel DNA, dunque. Inseguita fin da giovane: a diciotto anni attraversò le Alpi con gli sci, effettuò decine di lanci col paracadute. Pochi lo sanno, ma proprio durante uno di questi lanci, appena terminato il servizio militare, sfiorò la morte per la prima volta: “Il paracadute si aprì male e andò giù a cento all’ora. Nello scontro si ruppe praticamente ogni osso del corpo, i denti… Era vivo per miracolo. E questo forse instillò in lui, in qualche modo, l’idea malsana di essere immortale. Quando si svegliò in ospedale, la prima cosa che fece fu cercare di alzarsi e camminare, perché era terrorizzato all’idea di essere paralizzato, di non potersi più muovere dal letto”. Rimango un attimo senza parole, pensando a quello che vivrà poi trent’anni dopo… Trovate il servizio completo sul numero di Marzo de Il Giornale della Vela

 

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2 commenti su “Ambrogio Fogar: l’avventura è l’avventura”

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