Storia della Barcolana, dove “in boa chiedi acqua, e ti danno vino”
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Quarantasei anni di storia sono tantissimi per una regata. Era il 1969 quando un gruppo di amici del porticciolo di Barcola ebbe l’idea e nacque una delle grandi storie della vela italiana, la Barcolana, ormai pronta per la sua nuova edizione, quest fine settimana (10-12 ottobre). Ne ripercorriamo la vita attraverso alcune delle edizioni e, soprattutto, delle storie che ci hanno colpito di più. E ricordate, ci siamo anche noi con la nostra iniziativa TAG Heuer Velafestival alla Barcolana. Venite a trovarci!
1969 IN 51 AL VIA
Hai una barca a vela? E allora puoi partecipare. Si corre senza compensi e senza stazza. Barche divise secondo lunghezza al galleggiamento. Vince chi arriva primo in tempo reale. E’ la formula “magica” della Coppa d’Autunno, trovata non da quattro amici al bar, come nella canzone di Gino Paoli, ma da un piccolo gruppo di appassionati del porticciolo di Barcola che chiedono, quasi con il cappello in mano, alle Autorità della Fiv di poter fare una regata. Viene concessa una data di fine stagione, la seconda domenica di ottobre. Prima sono di scena gli yacht nobili con stazza, vele d’avanguardia, rating. Il gruppo di amici fa il giro dei Circoli velici, insiste con gli inviti, prospetta anche premi sotto forma di bottiglie di vino. Alla fine rispondono all’appello in cinquantuno, in una domenica di sole con il vento che soffia leggero da sud-ovest, e che i pescatori di quassù chiamano “garbin”. “Il Piccolo”, nella cronaca sportiva del martedì, parla di un “eccezionale successo di partecipazione”. Al traguardo arriva primo “Betelgeuse” del cap. Piero Napp, che ha imparato a tirar bordi alla Triestina della Vela, e che ha fatto da prodiere per anni al suo amico Giorgio Brezich, eterno abbonato al titolo italiano di Snipe. Napp (che per l’occasione imbarca la moglie, Umberto Rizzi e Aldo Vidulich) non sa, quel giorno, di aver firmato con il suo Alpa 9 la prima pagina di una piccola grande storia della vela. Vince anche perché si è fatto prestare lo spinnaker di un terza classe, il “Samurai”, che quasi tocca l’acqua, ma offre una spinta eccezionale e fuori dalle regole in altre regate. La passione per la regata di fine stagione non lo abbandonerà più, e non manca mai all’appuntamento. Non più con la sua barca a vela, ma con uno dei suoi rimorchiatori, il “Pegasus”, che da decenni offre ospitalità alla Giuria. Ospitalità vera, non solo un imbarco, fatta di partecipazione e sorrisi, e di squisitezze confezionate dalle mani della signora Marisa. Piero Napp è l’unico, nella storia della Barcolana, a partecipare da sempre con natanti diversi facendo la regata, a modo suo, con un rimorchiatore.
1970 LA SAGA DEI PELASCHIER
La storia dei Pelaschier inizia con Francesco, negli anni Venti, a Capodistria. Capostipite di una famiglia votata al mare, in tutti i suoi aspetti, dalla pesca alla vela, alleva tra i suoi sette figli Adelchi e Annibale, entrambi con particolare propensione per la vela. Subiscono, circa all’età di tre anni, tutti lo stesso trattamento, i figli di Francesco. Vengono semplicemente buttati in mare per imparare a nuotare, e poco dopo, solo qualche anno, messi in barca con un timone in mano, per imparare a veleggiare.
Il trattamento porterà i suoi frutti: nel 1939 Adelchi vincerà il suo primo titolo italiano in classe Dinghy. Seguiranno tanti successi, fino alle affermazioni olimpiche: tra il 1952 e il 1972, un componente della famiglia Pelaschier sarà sempre presente. Inizia Adelchi, nel 1952, in classe Finn; nel 1956 i due fratelli, Adelchi e Annibale, saranno contemporaneamente presenti in due classi diverse, Finn e Dragoni; nel 1964 sarà ancora Annibale a mantenere la tradizione di famiglia, sempre in classe Dragoni, per passare poi il testimone al nipote, figlio di Adelchi, Mauro, olimpionico in Finn nel 1969 e 1972.
Trasferitasi da Capodistria a Monfalcone, la famiglia Pelaschier abita il più vicino possibile al mare: la casa è attigua alla Società Velica Oscar Cosulich, così non c’è molto da aspettare per armare la barca e andare. Armare e uscire per regatare, velaggiare, ma anche andare a pesca, anche per posizionare, a bordo della storica Istria della Svoc, i campi di regata.
Poi è il tempo di Mauro, che subisce lo stesso trattamento del padre: in acqua a tre anni, in barca a cinque. Adelchi dichiara pubblicamente di non interferire nella carriera velica del figlio, ma in molti ricordano i suoi fischi, e il figlio alle prime armi che puntuale virava. Mauro Pelaschier è la storia di oggi, di una famiglia legata a doppio filo con Monfalcone e il Golfo di Panzano; è il timoniere di Azzurra, scelto da Cino Ricci per portare l’Italia in Coppa America, il velista che è riuscito a divulgare la vela in televisione.
1971 SIGOVICH DA LUSSINPICCOLO
Giovanni Sigovich è nato a Lussinpiccolo, nel 1929. Nel locale cantiere navale, è uno dei giovani falegnami, ai quali viene affidata la costruzione di barche in legno, fino ai venti metri di lunghezza. Vivere in un’isola significa avere uno stretto rapporto con il mare e le barche, e quella professione a Sigovich piace molto, tanto da diventare uno dei falegnami più noti, e richiesti. Le vicende geopolitiche dell’Istria lo sorprendono mentre è intento a levigare e piegare assi di legno, per costruire piccoli velieri: a 27 anni, nel 1956, deve lasciare la sua casa, e come molti profughi partire per altri lidi. Approda, dopo il peregrinare tipico degli esuli, in una terra con acqua dolce, a Toscolano Maderno, sul Lago di Garda. Lì, a trent’anni, impianta il suo primo cantiere navale. Falegname non è una parola che ben si adatta a chi costruisce imbarcazioni a vela, e il giovane Sigovich diventa un maestro d’ascia, e le sue piccole barche a vela molte delle quali ricordano le passere da pesca della sua Lussino, diventano popolarissime. Nel 1971, Sigovich decide che la Barcolana può essere un buon veicolo pubblicitario per il suo nuovo progetto. Così, carica il suo Carla, poco più di cinque metri di lunghezza – barca simile a uno scafo da lavoro, che nasconde però la vocazione per le regate – su un camion, e la porta a Trieste. La Barcolana di quell’anno vede in mare una sessantina di barche, già tante per l’epoca. E’ Barcolana di vento leggero, e Carla, incredibilmente, mette tutti in fila, e vince in assoluto. Il successo è immediato: tanti cloni di Carla saranno venduti, e Sigovich, da quel giorno, non dimenticherà più il mare di Trieste. Quando al suo cantiere inizieranno a venir commissionati scafi di grande dimensione, prenderà il coraggio a quattro mani, e si trasferirà a Trieste: varare scafi sul Garda, infatti, può risultare piuttosto impegnativo. Delle settecento barche costruite in una lunga carriera, la maggior parte è stata realizzata a Muggia, nell’omonimo cantiere Sigovich, dove gli ispettori del Guinness dei primati sono arrivati ben due volte: nel 1978, quando costruirà la più grande barca a vela europea in vetroresina (aveva 24 metri di lunghezza), e nel 1990 quanto realizzò una nave da carico a vela di 38 metri. Le grandi barche realizzate a mano sono il vanto di Sigovich, ma Carla gli è rimasta nel cuore, perché ricorda un impresa, e soprattutto un’emozione.
1972 SUA MAESTA’ LA BORA
Le statistiche dei meteorologi dicono che a Trieste, nel mese di ottobre, ci sono tredici giornate di bora. In calendario la seconda domenica di ottobre la Barcolana ha quindi una possibilità su tre di essere disputata sotto raffiche di bora, e infatti la bora si iscrive d’ufficio alla manifestazione per la prima volta nel 1972. A sentire i racconti dei regatanti ci sono state edizioni con 37, 40, fino a 55 nodi di bora. Un problema? Certamente per gli equipaggi familiari, che con quel vento, quando vanno in crociera, stanno ben fermi all’ormeggio. Problemi anche per gli esperti, aspiranti al successo in assoluto o alla vittoria di categoria, che malvolentieri riducono tela. Problemi anche per quelli che con le regate in condizioni dure non hanno dimestichezza, ma che non mollano, e sperimentano in gara come ci si deve comportare con vento forte. In questo senso la Barcolana fa scuola sotto il profilo marinaresco. La bora è diventata uno dei “personaggi” della Barcolana, e chi si iscrive alla regata sa che con la Bora deve, prima o poi, misurarsi. Vento di casa, la Bora di Trieste, che ha ispirato scrittori, poeti, vignettisti e fotografi, ha tanti estimatori, specie tra i velisti. Che parlano di “Bora di greco” (nord-nord est), di “Bora di levante” (est-nord est), e sanno che da certi avvallamenti dell’altipiano le sferzate vengono giù più violente, in alcuni punti del golfo i refoli si distendono regolari sulle onde, in altri ritornano addirittura verso terra. Tutto sanno, e insegnano a chi li sa ascoltare, imparando ad andare per mare senza drammi anche quando la Bora “chiara” imbianca il golfo illuminato dal sole, o la bora “scura” evoca scenari da Mare del Nord.
1973 LA STORIA DI VENTO FRESCO
Si chiamava Vento Fresco, ed era la barca della Famiglia Rizzi. Nel 1973 era una solida barca a vela, vittoriosa in una Barcolana dispettosa, caratterizzata da vento a singhiozzo, prima forte e poi bonaccia, seguita dal “neverin”. Condizioni così erano perfette per Vento Fresco, ma soprattutto per il suo equipaggio: papà Umberto, mamma Angela, il figlio Paolo. Papà Umberto è il sognatore di famiglia: percorre con Vento Fresco le coste della Dalmazia in lungo e in largo, e annota meticolosamente, su uno storico diario di bordo, tutte le avventure di famiglia. E’ un diario di bordo di quelli veri, vergato a penna, con una calligrafia obliqua, che unisce i dati tecnici, riportati con la schematicità della tradizione marinara (vento, approdo, miglia percorse) alle riflessioni sul mare e sulla vela, sulla sua famiglia. Mamma Angela e il figlio Paolo, invece, sono spiriti liberi. Tanto liberi da decidere di usare la barca di famiglia per partecipare, nel 1985, a una regata oceanica, la Brooklyn Cup, 52 giorni di navigazione, più il trasferimento, partito da Muggia. La regata si conclude sotto il ponte di Brooklin, l’equipaggio familiare naviga l’oceano in condizioni dure, con burrasche che superano anche le 30 ore di seguito. Ma l’undici metri Vento Fresco, quella volta, non si scompone. La storia di Vento Fresco finisce nel 1993, in un giorno di inizio maggio. Di ritorno da una crociera ai Caraibi, non la prima per Rizzi, e nemmeno l’ultima, lo scafo incappa in un terribile fortunale, lungo quattro giorni. L’ultimo messaggio di Paolo, inviato via radio, parla di vento da Sud Est a 50 nodi, di Vento Fresco che naviga assecondandolo, alla cappa, con una vela filata di poppa, per rallentare l’andatura. Poi più nulla. Partono le ricerche, che durano oltre due settimane, fino a quando il cargo Alidon avvista una zattera di salvataggio, con Paolo Rizzi, e il suo compagno di navigazone, Andrea Pribaz. Sette giorni nella zattera, per i due velisti triestini, la fine di un incubo per la famiglia, che ha mobilitato mezzo mondo per cercare un puntolino nell’oceano. Ma Vento Fresco non ce l’ha fatta. Ad affondarlo, dopo le severe sferzate del vento fino a 55 nodi, è una grande onda, alta come una casa di tre piani.
1977 SCIARELLI, IL RE ALL’OSTERIA
Carlo Sciarrelli, grande progettista di barche, ha sempre detto di non amare la Barcolana, ed anzi afferma di continuare a detestarla, trovandola “il più grande raduno del maggior numero possibile di brutte barche“. E in effetti uno che ha disegnato più di quattrocento barche, decine delle quali splendide, tutte rigorosamente in legno pregiato, non può amare più che tanto quel raduno popolare di gente che va per mare, e segnala, per alcuni drammaticamente, che le baie solitarie in Dalmazia sono destinate a restare un ricordo. Sciarrelli, geniale autodidatta, ex ferroviere, ha disputato più di cinquemila regate “di quelle vere”, e ha fatto oltre diecimila miglia di oceano. Ama, appunto, le “regate vere”, le barche in legno, i winch in bronzo, i passacavi in ottone, le vernici trasparenti, le vele di cotone. E dice di considerare la Barcolana “uno sberleffo” alle altre regate. Eppure anche lui non resiste al richiamo della Coppa d’Autunno, e vi partecipa già nel 1970, facendosi ammirare con il suo “Bat”, il cutter stazza Tamigi costruito nell’Essex nel 1889, in “lustrofin”, che fa bella mostra di sé all’ormeggio dello Y.C.Adriaco. Alle prime edizioni la barca di Sciarrelli è sicuramente la più nobile, ma non la sola tra le vecchie signore del mare. Al giornalista che gli chiese come mai, odiando la Barcolana, vi aveva partecipato, Sciarrelli rispose che “anche il principe talora incanaglisce“, e tracciando subito dopo un parallelo tra le sue partecipazioni alla Barcolana, che “il re che talvolta va all’osteria“, ha contribuito a sottolineare uno degli ingredienti della regata, di quelli che fanno colore: “In boa chiami acqua, acqua, e ti danno vino“.
1981 URANIA E LA STIRPE SPANGARO
“Urania”, per la gente di Barcola, è un nome storico, che richiama infinite, e singolari, storie di mare. Come quella volta che la barca è tornata da Sansego trainando una tartaruga marina, tenuta poi per giorni sottobordo, a mangiare insalata e cavoli degli orti di Monte Radio. O come la volta che Stelio Spangaro, l’armatore, stava per essere arrestato dalla polizia jugoslava cui si rifiutava di consegnare i documenti sostenendo di essere in acque italiane, perché per lui il trattato di pace di Parigi riguardava altri. O come quella volta, drammatica, in cui la barca è saltata in aria sul molo di Pirano, facendo rifornimento di benzina, e ancora oggi i medici si chiedono come Stelio abbia fatto a sopravvivere. Di “Urania” non ce n’è una sola. “Urania” è sempre stato il nome della barca di famiglia, dalla vecchia ex scialuppa di salvataggio alla passera saltata in aria. “Urania”, con l’aggiunta, dannunziana, “del Carnaro”. Fino all’ultima, che ha avuto l’onore di disputare l’Half Ton Cup. Ma quella del 1981 era ancora in legno, e correva la Barcolana nella categoria “Passere”. Certo per correre con l’obiettivo del primato di categoria bisognava apportare qualche ritocco. Così nell’81 ci pensa il capitano Sandro Chersi, che decide di sbarcare dall'”Urania” tutte le cose che Stelio, vivendo quasi sempre in barca, ha accumulato. Via quindi pagliolato, lettini, fornelli, cambusa (leggasi: vino), e via soprattutto circa 60 chili di arnesi, tra cui un tornio da legno, una morsa in ghisa e una chiave fissa da 38′. La linea d’acqua sale di 22 centimetri. Anche Stelio, che ha la stazza da ex pugile un po’ fuori allenamento, viene sbarcato per eccesso di peso, e con Chersi si imbarcano sua moglie Laura, Stefano (a tener alto l’onore della famiglia Spangaro) e Massimiliano Du Ban, detto “Gepo”, che con i suoi capelli rossi, le lentiggini e l’alta statura sembra un irlandese doc. Con il “garbin” di quella domenica anche se a bordo fosse rimasta qualche bottiglia di vino in più non sarebbe stato un grande problema. “Urania” vola sulle onde, e vince la categoria.
1986 IL MORO APPRODA IN BARCOLANA
Raul Gardini sorride in pantaloni bianchi e maglia blu. Sorride dal timone del primo Moro di Venezia, quello che lascia gli ormeggi per partecipare alla Barcolana, nel 1986. Dici Moro, e pensi alla Coppa America del 1992, la barca rossa, e le sfide di San Diego. Queste, invece, sono barche bianche, eleganti, con una striscia verde che le rende tutte gemelle, una tradizione di famiglia. Quando, la prima volta, il Moro approda in Barcolana, la sfida di Coppa è lontana ancora mille miglia. I Ferruzzi e i Gardini portano la barca a Trieste come fosse uno scafo qualsiasi, ma quel nome – praticamente di famiglia – fa notizia e fa storia, in regata: le famiglie Ferruzzi e Gardini, infatti, “scendono” in mare a fianco dei diportisti triestini; la Barcolana, d’un tratto, assomiglia ora a una regata popolosa, e non più solo popolare. Di Moro, a Trieste, ne arriveranno due, il primo, armato ufficialmente dai Ferruzzi, che non si perderà un’edizione dal 1986 per i dieci anni seguenti, il secondo, quello targato Gardini, che sfiderà tutti negli anni caldi di preparazione della Coppa, il 1989 e il 1990. E il Moro, ovviamente, vincerà. Tre volte, con timonieri diversi, in diverse condizioni di vento. Ma al di là dei risultati, c’è qualcosa di sacro, almeno per quanto riguarda la vela, nella presenza di questa barca alle svariate edizioni di Barcolana. Attesa, corteggiata, ammirata, riverita e temuta. Ma sono sempre dei blitz: il Moro non si ormeggerà mai lungo le Rive, con gli altri scafi in attesa di regatare.
1990 DALLA WHITBREAD ALLA BARCOLANA
La Whitbread, il giro del mondo in equipaggio, non ha nulla a che fare con la Barcolana. Regata oceanica, per un unico tipo di barche, con equipaggi composti da professionisti, compie il Giro del mondo a vela, mentre la Barcolana si accontenta del Giro del golfo. Ma, essendo aperta a tutte le imbarcazioni, la Barcolana vede ogni anno arrivare i blasonati scafi reduci dai giri del mondo, a provare l’emozione di vincere la regata più affollata del mondo. Uno dei primi maxi della Whitbread lo porta, come buona parte delle innovazioni quassù in Adriatico, Cino Ricci. Si tratta di Gatorade, lo scafo di Giorgio Falk, che approda in Barcolana nel 1990, un anno dopo la partecipazione alla Withbread, mai anno più sbagliato per un maxi, che si dimena nella bonaccia più torrida, con la pesante e stanca randa in kevlar afflosciata su se stessa. Cino Ricci inizia la sua personale avventura di armatore in Barcolana nel 1987; nel 1989, anno di bora decisamente gagliarda, Cino Ricci pensa che per vincere la Barcolana sia necessario uno scafo grande e forte: l’immagine di Gatorade è presto fissata; ma il grande velista non fa i conti con il vento dispettoso di Barcolana, che anno dopo anno si diverte a scombussolare i piani degli armatori. Cino Ricci, il grande mattatore della vela italiana, la Barcolana non l’ha mai vinta, così come non l’hanno vinta altri favoriti reduci dal Giro del Mondo, Equity and Law, Gatorade, Brooksfield, Amer Sport One o Amer Sport Too.
1997 L’APPUNTAMENTO FISSO DELLA FAMIGLIA RIZZI
Il suo obiettivo, da ragazzo, era quello di partecipare alla Barcolana. A sedici anni o poco più, riesce a convincere il padre a farlo entrare nell’equipaggio che, ogni anno, in occasione della regata, lascia San Giorgio di Nogaro per raggiungere Trieste. D’altra parte, non poteva essere diversamente: Stefano Rizzi inizia ad andare in barca a vela a quattro anni, quando ottiene dal padre un Optimist di legno, costruito in garage. Essere protagonista alla Barcolana è stato il primo “obiettivo nautico” di Stefano Rizzi: poi, già che c’era, il velista oceanico prosegue la carriera, vince una Admiral’s cup, svariate 500×2 e Rimini-Corfù-Rimini, partecipa alla Coppa America su Luna Rossa, a tre giri del mondo, due con scalo, a bordo di Brooksfield e di Amer Sport One, uno senza sosta, con Club Med, scafo vincitore della pazza “The race”, la regata del millennio, sfrecciando a trenta nodi attorno agli iceberg. Poi, si dedica alla Coppa America, a Esimit Europa 2, e al suo ritorno alle origini, sul piccolissimo e acrobatico Moth, con il quale vola sui foil e vince il titolo italiano nel 2014. Puntuale, ad ottobre – quando non naviga in acque ghiacciate – Stefano Rizzi ha sempre mollato tutto per arrivare in Barcolana, spesso con l’obiettivo di vincerla.
2002 LA PRIMA VOLTA DI BRESSANI
Organizzare la Barcolana, e non vincerla per oltre vent’anni. Lorenzo Bressani, uno dei tanti campioni che la Svbg ha sfornato, e punta a infrangere la “maledizione” che gravava sulla società organizzatrice della regata. Nel 2002, infatti, è lui il protagonista della Barcolana, al timone di Uniflair del Magic sailing team. La barca, in realtà, si chiama Idea, appartiene al napoletano Raffaele Raiola, ma Mimmo Cilenti, che ha già vinto la regata nel 1999 e nel 2000, e vuole ripetersi, l’ha charterizzata, investendo non poco danaro. Uniflair arriva come lo scafo più grande dell’evento, con i suoi ottanta piedi, ma non è il solo favorito alla vittoria. C’è anche quel Mitja Kosmina, che intende ripetere il successo di tre Barcolane, non con Gaja Legend, ma con Maxi Jena, scafo dello sloveno Justin, costruito in un cantierino di Isola d’Istria in pochissimi mesi, e con tecniche da Coppa America. Lorenzo Bressani contro Mitja Kosmina, orgoglio barcolano contro orgoglio sloveno. E Lorenzo Bressani, grazie a un “sorpasso” stile automobilismo a pochi metri dal traguardo, vincerà la sua prima Barcolana, soffiando la vittoria a Kosmina, che Bressani intuisce un solo secondo prima che arrivi. E’ la bandierina di un “parangal”, una rete da pesca, a dargli il segnale che l’aria girerà in Bora. Una bandierina complice, spiata mille volte sul mare, in windsurf, nei pochi giorni all’anno nei quali non ci sono regate, e Bressani comunque non rinuncia al mare. La Barcolana arriva a suggellare una stagione d’oro per Lorenzo Bressani, che a Barcola tutti chiamano “rufo”, contrazione locale per refolo, soprannome che si era guadagnato da ragazzino, quando ancora regatava in classe Optimist, prima dei successi in 470, prima dei trionfi tra gli scafi d’altura, e prima della vittoria della “sua” Barcolana. Il 2002 è anno di record: record di partiti (1.969), record di arrivati, bella giornata di sole e il successo di un velista locale.
2004 LA BARCA FANTASMA
Se si dovesse scegliere una Barcolana perfetta, bisognerebbe andare al 2004: 1900 partiti, 1400 arrivati, scirocco da debole a medio. Un’edizione che qualcuno, il triestino Franco Ferluga, ricorderà come quella in cui riuscì per la prima volta a gabbare gli organizzatori, vincendo la sua personale riedizione del gioco a nascondino. La storia comincia lontano, a bordo di una barca triestina, all’inizio di una regata estiva. Se ne va troppo presto, per un attacco di cuore, il velista Paolo Zlatich. E’ dolore di una città di marinai, di una società come la Stv, che lo ha visto bambino, adolescente e uomo. Un dolore che si sublima nella creazione di una barca leggera e velocissima, battezzata “4 Paolo”. Tutti la conoscono, 4 Paolo, a Trieste. Tanto veloce e unica, ma poco adatta a partecipare alla Barcolana per questioni di sicurezza: è troppo estrema. E’ per questo che ogni anno, gli stazzatori della Società velica di Barcola e Grignano, all’apertura delle iscrizioni, aprono la caccia a uno scafo che, tecnicamente, alla Barcolana non può partecipare senza i dovuti accorgimenti di sicurezza. Il risultato della ricerca prosegue ad anni alterni, ma nel 2004 il timoniere e noto velista triestino Franco Ferluga inventa una soluzione originale: lascia la barca uguale, salvo qualche modifica “di facciata”, ma cambia, semplicemente, nome. 4 Paolo diventa così “La Marta”, e vince di categoria. 1 a 0 per Franco Ferluga, ma il trucchetto è ormai svelato, perché i velisti non resistono a festeggiare sotto falso nome!
2006 IL MIO AMICO RUSSELL
Non ci credeva, Russell Coutts. Il campione di vela neozelandese vincitore di tante edizioni della Coppa America (prima con i neozelandesi, poi con gli svizzeri contro i neozelandesi, poi – ma questo dopo la Barcolana del 2006 – con gli americani) non credeva che una regata come la Barcolana potesse esistere, al di fuori delle acque di casa sua. Che così tante barche potessero uscire in mare assieme e regatare nell’Italia degli yacht, ma non della passione genuina e tradizionale. A convincerlo dell’esistenza di una regata simile (la chiamerà “amazing sailing festival“) – per lui già tante parole messe in fila, perché non si tratta proprio di un velista loquace avezzo a far complimenti a qualcuno o qualcosa – è il velista triestino Marino Quaiat. Velista fino a un certo punto: Marino Quaiat è in realtà un esperto di tutto quello che si può riparare, possibilmente smontando e rimontando, dal tram di Opcina (il tram che si arrampica su una cremagliera da Trieste all’altopiano, e spesso ha bisogno di cure e rielaborazioni) alle eliche delle barche. Proprio per Russell Coutts, e per i suoi monotipi RC44, Marino Quaiat progetta, realizza, brevetta e installa un’elica abbattibile avveneristica, tanto da meritarsi l’onorario, la gratitudine e anche l’amicizia di Russell Coutts. Che dice vabbè sì, a questa festicciola della vela che si chiama Barcolana io grande campione di Coppa America ci vengo, al timone di un prototipo di Rc44. Viene Russell, resta folgorato dalla festa, vince di categoria, e decide di tornare l’anno successivo. Ma non da solo: con un po’ di amici, leggasi campioni di Coppa America, tutti a bordo di scafi RC44, pronti a giocarsi la vittoria di categoria, in un match race dentro la regata.
2008 DALLA COPPA AMERICA ALLA BARCOLANA
Il 20 marzo del 2008 è un giorno di cui lungo le banchine della Società velica di Barcola e Grignano si è parlato a lungo. Il 20 marzo, sul far della sera, mentre gli uffici della Svbg si stanno svuotando, poiché non è ancora estate e non è una giornata di particolare vento da giustificare permanenze post pomeridiane, suona il telefono. Per effetto del “risponde il primo che passa”, esercizio stilistico piuttosto comune nelle società dilettantistiche sul far della sera, quando le segretarie hanno lasciato il posto di comando, la telefonata viene dirottata al cellulare di chi si occupa della comunicazione, che per minuti e minuti attenderà di capire se sia preda di uno scherzo telefonico, o meno. La telefonata arriva dall’altra parte del mondo, dal Sud Africa, per l’esattezza. Da dove una solerte organizzatrice di eventi si informa se una barca che ha appena finito di partecipare alla Coppa America possa, o meno, partecipare alla Barcolana. Inizia così l’avventura di Shosholoza a Trieste, assieme al suo equipaggio ufficiale – una combinazione esplosiva di sudafricani e italiani – capitanato dal velista Paolo Cian, che al comandante Sarno, l’armatore dello scafo, italiano di Nocera Inferiore ma trapiantato in Sud Africa da dove governa una compagnia di crociere, durante le lunghe attese di Valencia per le regate di Coppa America ha parlato della Barcolana. Risultato, dopo l’imbarco su qualche cargo per arrivare dalla Spagna all’Italia, dopo qualche ora di traino e il posizionamento di un po’ di draglie di sicurezza, Shosholoza e il suo equipaggio “black and white”, come ama definirsi, ormeggia lungo il molo Audace, portando una ventata di grande novità in Barcolana. Pur lenta rispetto ad Alfa Romeo, Shosholoza e il suo Cian compie il miracolo: in una edizione di bonaccia chiude al terzo posto assoluto, conquistando il cuore dei triestini, che pur parteggiando per Luna Rossa in Coppa America, in Barcolana fanno un’eccezione.
2013 DAVIDE CONTRO GOLIA
C’erano una volta un falegname, una impiegata, un idraulico, un operaio turnista alla Illycaffè, un tassista e un libero professionista. Tutti triestini, meno una, muggesana. Tutti maschi, meno una femmina, tutti della Lega Navale, eccetto lei del Circolo della vela di Muggia (e un altro, degli Amici del Mare). Tutti, rigorosamente, velisti locali. Che in occasione della Barcolana 2013 si sono svegliati di buon’ora, pronti per la regata. Sono partiti “la prima barca in boa, tutto sotto Barcola”, come si addice a molti dei “locals”, e brezza per brezza hanno girato quinti la prima boa. Con un barchino di 8,40 metri (praticamente per fare una Esimit Europa 2 ce ne vogliono quattro, in lunghezza), rigorosamente triestino, progettata oltre 15 anni fa da Dario Peracca. Si chiamano Christian Babic, Sara Postogna (al timone), Andrea Cusmich, Massimo Bernobich, Andrea Klun e Franco Polesello: sono l’equipaggio dell’Esco Matto, che ha partecipato alla Barcolana con una barca di nemmeno nove metri, ha girato quinta la prima boa e ha tagliato il traguardo in una storica nona posizione. A memoria degli ultimi dieci anni, non era mai accaduto che una barca così piccola, in tempi di SuperMaxi, ottenesse un simile, incredibile risultato. È l’eterna storia di Davide contro Golia. «Ancora non ci crediamo – racconterà alle cronache locali l’armatore, il falegname Christian Babich, triestinissimo. – Siamo appassionati di vela, ma siamo persone normali. Nessuno di noi è un professionista».
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