INTERVISTA Come sono cambiate le barche – Parte 2
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Continua il nostro incontro con Vittorio Mariani, uno dei massimi esperti italiani di project management, per analizzare i cambiamenti che la progettazione e la costruzione delle barche hanno vissuto negli ultimi anni. In questa seconda parte (qui trovate la prima) guardiamo avanti, cercando di anticipare i cambiamenti dei prossimi anni.
BASTA CON GLI SFORZI A BORDO
Abbiamo visto come sono aumentati gli spazi a bordo, come i pozzetti siano decisamente aumentati. Ma comodità a bordo, significa anche una maggiore facilità nella conduzione della barca, il cosiddetto “easy sailing”. “La diminuzione dello sforzo fisico e la semplificazione delle manovre sono senza dubbio due aspetti fondamentali nello yachting moderno, su qualunque barca ci si trovi. Pensa alle barche di una volta, erano delle portatrici di winch. La diffusione dei modelli elettrici o idraulici anche sulle barche di dimensioni ridotte è stato un grande passo avanti. Ma non vanno sottovalutati nemmeno il lazy jack o l’avvolgiranda nel boma. Sia chiaro, quello nell’albero non lo prendo neppure in considerazione!”. Quello cui abbiamo assistito in queste ultime stagioni è stato anche un cambiamento nei piani velici, con una sensibile riduzione della superficie delle vele di prua. “Non solo: anche il trasto randa, tanto amato dai puristi, non è così fondamentale. L’importante è che la sua assenza sia compensata da un potenziamento del vang. Il fiocco autovirante è un ottimo esempio di easy sailing, ma lo sono anche le vele a bassa sovrapposizione. Un discorso più ampio va fatto poi per il gennaker, che è nato prima per le barche da regata che sono capaci di avere sempre angoli al vento apparente molto stretti. Poi si è diffuso nel mondo della crociera, con la conseguente scomparsa del tangone. Certo, gli angoli sono ben diversi, ma la comodità è incomparabile”.
Poco dopo l’inizio del mio incontro con Mariani, si è accennato all’ingresso nel mondo nautico di architetti provenienti da altri settori, che sono stati capaci di portare un notevole arricchimento e di rompere schemi che parevano immutabili. “Sì, sono tante le novità che hanno introdotto. Il primo passo lo ha fatto Beneteau, chiamando Philippe Starck alla fine degli Anni ’80 (era il 1989, quando il celebre designer progettò insieme a Jean Berret il First 41S5, ndr), che introdusse il mogano rosso negli interni. Più in generale, con i designer si è passati dal buio alla luce: prima sembrava, scendendo sottocoperta, di entrare in una catacomba, oggi gli spazi sono molto più ariosi, grazie all’utilizzo di materiali più chiari e a finiture più leggere. Non bisogna poi farsi ingannare da un altro aspetto: è vero che i layout appaiono più semplici e lineari, ma questo obiettivo si raggiunge solo con un duro lavoro di progettazione”. Una linearità che a qualcuno fa storcere il naso, sono in tanti che lamentano la quasi totale scomparsa del tavolo da carteggio. “Ma a cosa serve ancora il tavolo da carteggio? Oggi grazie all’elettronica la navigazione e la gestione di una barca può avvenire persino con un semplice tablet. Dobbiamo toglierci questi retaggi del passato!”, mi provoca Vittorio.
E DOMANI, COSA ACCADRA’?
Ormai siamo proiettati al futuro, a quelle piccole e grandi rivoluzioni che vedremo sulle nostre barche negli anni a venire. “Sulle barche di serie, si può ancora fare un grande lavoro sugli interni, in particolare sui materiali utilizzati per realizzarli. Bisogna puntare su materiali “poveri” come il gelcoat, che ha una serie enormi di modi di utilizzo. E poi la leggerezza rimane un punto su cui continuare a focalizzarsi, cercando di ottenere carene che abbiano un dislocamento sempre più basso. Si pensa che a determinare il dislocamento di un’imbarcazione siano gli interni, ma questo non è del tutto vero. Gli impianti in questo senso occupano un posto importante. A proposito, sai qual è una cosa che mi fa imbestialire oggi? Abbiamo elettronica all’avanguardia e batterie che invece non sono al passo con i tempi e durano troppo poco o sono ingombranti. In barca, per esempio, si dovrà necessariamente passare alle batterie al litio: è vero che oggi costano di più di quelle tradizionali, ma poi determineranno risparmi notevoli sia in termini di durata che di spazi a bordo”. Per concludere la nostra chiacchierata, Vittorio Mariani mi lancia un’ultima interessante provocazione. “In coperta, dove è stato fatto tanto dal punto di vista dell’ottimizzazione degli spazi, adesso ci si deve concentrare sui bimini. Ormai sempre di più ci si vuole riparare dal sole e sempre più spesso si naviga col bimini aperto. Allora basta con quelle traballanti strutture in tubolari e tela, così rumorose. Il bimini deve diventare rigido ed essere una parte integrante della coperta!”.
CHI E’ VITTORIO MARIANI
Nel 1976 Vittorio Mariani è stato uno dei cofondatori e soci dello studio Vallicelli & C. Yacht Design. Nella sede di Roma sono state progettate barche di ogni tipo, dai grandi scafi da crociera a veloci yacht da regata. Tra queste, impossibile non citare i tre scafi di “Azzurra” per le sfide alla Coppa America del 1983 e del 1987. Nei 24 anni durante i quali Mariani ha fatto parte dello studio, ha partecipato alla realizzazione di oltre 200 progetti. Con l’evoluzione del settore e la nascita di veri e propri team di specialisti che hanno iniziato a collaborare con il progettista, il lavoro è diventato molto più complesso. Per questo nel 2000 Mariani ha deciso di focalizzare la propria attenzione sul “project management”, sul controllo della fase costruttiva e sul coordinamento del team di progettazione. Tra i principali progetti ai quali ha lavorato negli ultimi anni, spiccano Roma (fast cruiser di 85 piedi del 2005), Polytropon II (2008, è un fast cruiser di 82 piedi) e l’Oyster 72 (2013 su disegno di Rob Humphreys).
TROVATE QUI LA PRIMA PARTE DELLA NOSTRA INTERVISTA A VITTORIO MARIANI
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