INTERVISTA Come sono cambiate le barche – Parte 1
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Quale momento migliore del Salone nautico di Genova per analizzare come sono cambiate le barche e il modo di progettarle negli ultimi trent’anni? Lo facciamo insieme a Vittorio Mariani, uno dei massimi esperti italiani di project management. La nostra chiacchierata è stata molto lunga, per questo la dividiamo in due parti. Oggi, ecco a voi la prima, nella quale ripercorriamo il ruolo del progettista e analizziamo come si sono evolute le tecniche costruttive.
Se ti chiami Vittorio Mariani e nella tua carriera hai lavorato alla progettazione e alla realizzazione di centinaia di barche, dai mitici scafi di Azzurra a fast cruiser come Roma, sei la persona giusta con la quale parlare per capire davvero come è cambiato e dove sta andando il mondo dello yachting.
Iniziamo a parlare e subito Vittorio mi spiazza: “Non esiste il bene assoluto. Esistono invece i diversi desideri degli armatori e i differenti usi che di una barca si vuole fare. Le barche non sono mai perfette per tutti, ma devono essere pensate per soddisfare i diversi mercati”.
LA RIVOLUZIONE INFORMATICA E LA FORZA DEL LAVORO DI SQUADRA
“Fino agli Anni ’20-’30 del secolo scorso, era il cantiere stesso che progettava internamente le proprie barche. Poi è nata la figura dell’architetto navale, che ha avuto nel mitico studio Sparkman&Stephens il proprio simbolo. Una figura rimasta quasi immutata fino a trent’anni fa, quando ha iniziato ad amplificarsi il concetto di specializzazione. L’architetto navale rimane primario, ma la sua figura adesso è diversa, oggi la progettazione è legata a un vero e proprio team. Una trasformazione dovuta in gran parte allo sviluppo dei software cad”. Per chiarire di cosa stiamo parlando, si tratta di quei programmi per computer, che permettono di progettare e creare modelli in 3D. In effetti quello degli ultimi anni è stato uno sviluppo incredibile, dovuto anche alla possibilità di far “girare” questi programmi su un laptop portatile, mentre fino ai primi Anni ’80 avevate bisogno di enormi e pesantissimi computer. “Per questo i calcoli strutturali erano una prerogativa dei cantieri che realizzavano navi commerciali, oggi invece ogni costruttore è in grado di effettuarli”. Senza dubbio, avere un intero team che lavora a un progetto determina un arricchimento dello stesso, anche perché la specializzazione consente di approfondire maggiormente ogni aspetto e migliorare la qualità tecnica. “Logicamente si tratta di un lavoro molto più complesso, anche perché più complesse sono diventate anche le richieste degli armatori. Da alcuni anni, inoltre, sono molti gli architetti e i designer provenienti dall’esterno del mondo nautico, che hanno portato tante idee nuove, sia in termini di sfruttamento degli spazi che dei materiali. L’importante è che, non avendo una cultura marinara, vengano guidati, altrimenti si possono fare danni…”
LA COSTRUZIONE SI E’ EVOLUTA
Se si pensa che un così rapido sviluppo della progettazione sia andato di pari passo con l’evoluzione dei materiali di costruzione, si è fuori strada. “La grossa evoluzione del composito e lo sforzo maggiore dal punto di vista della ricerca c’è stato venti, venticinque anni fa. Da allora, in realtà, c’è stata una lenta ma costante messa a punto e quello che è stato ottimizzato è principalmente il metodo costruttivo: ne è un esempio la tecnica dell’infusione, che si è molto evoluta perché lega un miglioramento tecnico del laminato a una riduzione dei costi rispetto al sottovuoto con materiali preimpregnati. Ed è giunta così anche alla produzione di serie”.
L’evoluzione costruttiva (e l’immancabile presenza dei software) hanno avuto un impatto impressionante su un’altra caratteristica fondamentale dello yachting, l’evoluzione del disegno delle carene. “Vero, è un processo che abbiamo visto ovviamente prima nel mondo delle regate e che poi si è pian piano trasferito sulle barche da crociera”. Un po’ come accade sulle automobili, la Formula 1 testa le soluzioni più avveniristiche e una parte di queste poi viene poi portata sulle nostre macchine. l’importanza della leggerezza “Dobbiamo assolutamente sfatare un falso mito: leggerezza non significa poca marinità. Ci sono barche pesanti e poco marine, meno sicure di scafi molto più performanti, anche nel mondo della crociera. I precursori, in questo ambito, sono stati i neozelandesi. Poi, negli ultimi anni, abbiamo avuto una grande evoluzione del disegno delle carene nel mondo delle regate oceaniche. Pensa ai solitari, che per avere una maggiore stabilità e sfruttare al meglio le andature portanti, hanno scafi con volumi decisamente aumentati a poppa. L’ultimo sviluppo è indubbiamente lo spigolo”. Ahi, ci siamo. Ne capisco l’importanza in oceano, su barche ad alte prestazioni, ma siamo sicuri che nel mondo della crociera non si tratti più che altro di una moda? “Sicuramente è una moda, ma con grandi risvolti positivi, non tanto nelle prestazioni, ma perché ha consentito ai progettisti di aumentare i volumi a bordo, sia quelli interni sia in pozzetto, grazie al minore volume di fuga della poppa. A proposito dello scafo e dei volumi immersi, c’è un aspetto della ricerca che purtroppo si è un po’ fermato: quello delle chiglie mobili. Sicuramente a frenarle c’è un discorso di costi, ma anche una certa paura che non ha più senso di esistere. Sono ultrasicure e permettono di avere una chiglia più leggera e, quando serve, diminuire notevolmente il pescaggio. Il tutto senza pregiudicare il momento raddrizzante”. Un discorso che colpisce, soprattutto se pensiamo che un colosso come Beneteau ha appena presentato una versione del suo nuovo Oceanis 35 dotato proprio di deriva mobile.
CHI E’ VITTORIO MARIANI
Nel 1976 Vittorio Mariani è stato uno dei cofondatori e soci dello studio Vallicelli & C. Yacht Design. Nella sede di Roma sono state progettate barche di ogni tipo, dai grandi scafi da crociera a veloci yacht da regata. Tra queste, impossibile non citare i tre scafi di “Azzurra” per le sfide alla Coppa America del 1983 e del 1987. Nei 24 anni durante i quali Mariani ha fatto parte dello studio, ha partecipato alla realizzazione di oltre 200 progetti. Con l’evoluzione del settore e la nascita di veri e propri team di specialisti che hanno iniziato a collaborare con il progettista, il lavoro è diventato molto più complesso. Per questo nel 2000 Mariani ha deciso di focalizzare la propria attenzione sul “project management”, sul controllo della fase costruttiva e sul coordinamento del team di progettazione. Tra i principali progetti ai quali ha lavorato negli ultimi anni, spiccano Roma (fast cruiser di 85 piedi del 2005), Polytropon II (2008, è un fast cruiser di 82 piedi) e l’Oyster 72 (2013 su disegno di Rob Humphreys).
TROVATE ONLINE LA SECONDA PARTE DELLA NOSTRA INTERVISTA A VITTORIO MARIANI VENERDI’ 3 OTTOBRE
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