Ciao Manfred, uomo normale, grande navigatore

Ape_ManfredManfred Marktel se n’è andato. E’ salpato per l’ultimo viaggio. Un nome che a molti non dirà nulla, ma per i grandi appassionati di mare Manfred è stato uno dei moderni grandi solitari. Il tutto con una semplicità disarmante. Nato nel marzo del 1943 a Gmuend, in Austria, si laurea in ingegneria in Germania. Nel 1968 si trasferisce a Segrate. La sua carriera di manager inizia presso la Cifa (betoniere) di Milano dove ricopre l’incarico di direttore estero. Prosegue la sua ascesa come responsabile commerciale della società di autocarri piacentina Astra per poi approdare alla sede milanese di una viteria tedesca in qualità di direttore generale. L’ultimo incarico lo ha visto al vertice della Bargem, bulloneria di Torino del gruppo Fontana. Inizia ad avvicinarsi al mare nel 1972 a bordo uno sloop di 9 metri in vetroresina sulla quale trascorre i ritagli di tempo: “Li passavo a bordo della mia barchetta, navigando in lungo e in largo nel Tirreno. Esplorando la Corsica d’estate e d’inverno; d’estate con mia moglie, d’inverno in solitario”. Il suo debutto in Atlantico arriva nel 1997, spingendosi da Savona alle Azzorre. Poi, tra il 2000 e il 2001, decide di traversarlo, questo benedetto Oceano: dalla Liguria va e torna dal Venezuela. Nello stesso periodo riparte da Savona e si avvicina a Madeira; nel 2002 lascia le coste liguri per Tobago e Trinidad. Due anni dopo è Savona-Salvador de Bahia, e Brasile-Guadalupe, con soste a Fernando de Noronha e in Guyana Francese. L’anno seguente riguadagna l’Est, portando il suo Maus dalle Guadalupe alle Azzorre, a Madeira, e poi è la volta di nuovo dell’Ovest, di Salvador de Bahia. Siamo arrivati, così dopo aver macinato miglia e miglia, al grande viaggio. Nel gennaio 2006 Manfred salpa per le Falkland e la South Georgia, per poi fare ritorno in Brasile e riguadagnare l’Est, pian piano, con tappe a Fernando de Noronha, Guadalupe, Horta e Canarie. Non ha mai smesso di viaggiare.Per ricordarlo, vi proponiamo questo articolo che ripercorre, anche attraverso le sue stesse parole, la sua filosofia.

Ciao Manfred, buon viaggio da tutti noi.

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ESPLORANDO L’ANTARTICO (tratto da GdV Febbraio 2009)
Se mia moglie avesse avuto il piede marino, avrei navigato con lei. Ma per fortuna non lo ha. La battuta è fulminea, e fulmina. Manfred, però, non vuole fare dell’ironia. Lo dice col tono serio dell’ex amministratore delegato di un’azienda metalmeccanica da 25 milioni di fatturato, nella quale ha concluso una carriera lunga una vita. Prima di cambiarla radicalmente. Spiega: «Qualcuno in famiglia deve avere il piede a terra e fare quello che, a terra, si deve fare». Sta tutta qui, forse, la filosofia di Manfred Marktel, natali austriaci, italiano per scelta e ormai più che di adozione. Un navigatore solitario sui generis, anzi per caso. Sui generis, perché ha scelto di vivere il mare con tutto se stesso in tarda età, a 57 anni. Con la forza del sogno, e quella della razionalità. E per caso, perché ci si è trovato, da solo in barca.

«Scartata mia moglie, per i problemi di “piede”, non potevo cercarmi un’altra partner, stante la mia condizione di uomo sposato, di marito da 39 anni. E trovare un amico per la pelle, con cui condividere l’avventura è troppo difficile». Dunque, da solo. Così ha percorso, prima di diventarlo davvero un navigatore, oltre 50mila miglia marine, lungo le rotte del diporto. E così ne ha solcate altre 70mila, negli ultimi sette anni, in alto mare. Spingendosi sino alla South Georgia, l’arcipelago situato nell’Oceano Australe, territorio d’oltremare britannico, ma conteso dall’Argentina. Sino a Grytviken, il piccolo e unico villaggio abitato – dal personale di una base scientifica inglese – dell’isola principale (tra 35°47’ e 38°01’ W e tra 53°58’ e 54°53’ S; circa 1600 km a est-sudest dalle isole Falkland), dove nel 1921 morì e fu sepolto per volere della moglie l’esploratore antartico Ernest Henry Shackleton, l’eroe dell’Endurance, che vi era tornato a bordo del Quest.

Schermata 2014-09-24 a 10.36.22Manfred, però, più che navigatore solitario, si sente «semi-solitario». Due volte l’anno, dice, «torno a casa, mi fermo e poi riparto». Sarà. La domanda di rito, comunque, ci sta anche in questo caso. Lo avete notato? Quando qualcuno compie qualcosa d’insolito, siamo tutti lì a chiedergli perché lo fa. Spesso, non c’è risposta. «Non mi interessa vedere cose nuove. Non perché non sia curioso, ma perché sono poche. Le abbiamo già viste in tv, sui libri. Le ho viste nella mia precedente vita professionale, nei miei vent’anni da manager, in cui ho girato il mondo in lungo e in largo. Come navigatore, gli unici luoghi che penso siano da vedere sono l’Artico e l’Antartide. Lì davvero l’aria che respiri è diversa». E allora, cosa? «Io ho scelto il mare per il mare. Il mio sogno era quello di navigare per navigare. Di partire, senza avere l’obbligo di tornare per onorare un appuntamento di lavoro, una scadenza. È stata l’idea di stare bene in mare, a farmi decidere di salpare definitivamente. Di godermi il cielo, il sole, le onde».

Nel suo primo libro (Mare, traversate, amici, tartarughe e tanti dubbi; Edizioni Saviolo, 2003), Manfred, dice di appartenere alla categoria di quelli che «bene o male hanno viaggiato per molti anni in tutto il mondo e vogliono semplicemente passare il loro tempo in barca, facendo delle lunghe navigazioni, e una volta arrivati in qualche scalo parlare con amici che hanno simili interessi». Non è poco, se ci pensate bene. Provate a immaginarvi un uomo “quadrato”, che comincia la sua carriera di manager come direttore estero della Cifa (betoniere) a Milano, che prosegue la sua ascesa arrivando al vertice della Barge, bulloneria di Torino del gruppo Fontana; che si sposa e mantiene saldo il matrimonio per 39 anni; che diventa padre di una figlia, oggi medico al San Raffaele. E che a 57 anni, svolta. «Puoi andare sempre più in alto, finché ti sbricioli. Finché un giovane collega si chiede: che ci fa qui questo vecchio? Io ho preferito lasciare all’apice della mia carriera». In realtà, Manfred a mollare tutto, ma nel vero senso della parola, ci aveva già pensato a trent’anni. «Avrei fatto una sciocchezza. Adesso, sarei probabilmente un clochard del mare. Come quelli che vedo oggi in tanti porti. Per fortuna c’era mia moglie, a indicarmi la rotta giusta». Allora si era ricreduto, aveva «piantato le tende» come dice lui. E oggi non si pente. Nemmeno dell’ultima scelta. «In queste sette anni da pensionato ho sicuramente guadagnato molto meno di quanto avrei potuto, se avessi continuato a lavorare. Ma non ho alcun rimpianto. Mai, nemmeno per un giorno, ho abiurato. Riesco lo stesso a sopravvivere dignitosamente e mi godo quello che ho sempre sognato. Stare in mare, al meglio». Questo è poi, in definitiva, il suo messaggio. Quello che vuol trasmette con i suoi libri, le tante conferenze, gli incontri. «Sì, voglio testimoniare a tutti, ma soprattutto agli uomini normali come me, che si sono guadagnati da vivere col proprio lavoro, i tanti signori Marktel, i signori Rossi, che si può fare. Anche e soprattutto dopo essere andati in pensione. Che c’è dell’altro oltre al salotto di casa, il giardino, la spesa al supermarket. Che non si deve morire prima che venga la nostra ora».

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Possibilmente, spazzando via le incertezze che, talvolta, vengono a galla. «Continuo a pensare se proseguire o rinunciare alla mia avventura, ma guardando le foto fatte alle Canarie, e altre fatte sei mesi prima a una cena di lavoro, mi passa qualsiasi incertezza sulla decisione che sta maturando in me» scrive il Nostro, nel suo primo libro. Fermiamoci qui. Questo è l’uomo. Ah no, un momento. C’è ancora da affrontare un ultimo aspetto, quello del sogno. Assodato che quello, principale, portante di Manfred era di salpare, lasciandosi alle spalle l’ufficio, resta da individuare come oggi si rinnova. E sì, perché se uno sogna, continua poi a farlo. «La mia fonte d’ispirazione sono i libri. Leggo Shackleton e sogno di andare a South Georgia. Amundsen, e vorrei vedere l’Artico e l’Antartide. Ho una biblioteca con circa 300 testi di mare, in tutte le lingue, e molti autografati dall’autore. Italiani? Soprattutto quelli della mia generazione: Fogar, Malingri senior, Carozzo». è una navigazione difficile, questa di raccontare Manfred. Il messaggio che trasmette Marktel è chiaro e ribadito più volte: lavora, costruisciti una famiglia e una posizione, vivi il mare come puoi – il diporto, ad esempio: «Io partivo il venerdì sera dalla Liguria da solo, raggiungevo la Corsica e tornavo la domenica sera» – e poi, al momento giusto, salpa definitivamente. «Spinto non da un moto di ribellione, di fuga, ma dalla forza del sogno». Anche se non sei più giovane. «Per me il mare è ancora aperto, con nuovi orizzonti».

Schermata 2014-09-24 a 10.38.33Digerito il concetto? Bene, andiamo avanti allora, perché sennò la meta si fa lunga. Il suo sembra il percorso di un’anima in pena, ma in realtà quella di Manfred è serena. E l’approccio alla navigazione è quasi freddo. Quasi. «L’emozione più grande, quella della prima traversata dell’Atlantico, è cristallizzata nel tempo. Avevo dubbi, paure. Adesso queste farfalle nello stomaco non le sento più. Parto senza nessuna fatica, senza grandi emozioni. Lo do per scontato, come il fatto di essere solo a bordo». Nel suo secondo libro (Sono arrivati 600 anni prima di me, Edizioni Saviolo, 2005), Manfred ribadisce il concetto. «Non posso negare che la novità e l’emozione della prima traversata era più intensa, quello che è rimasto è che il piacere della navigazione così regolare aumenta quotidianamente. Ritengo che per tutti i navigatori sia uguale e ritengo anche che, con l’aumento del piacere, diminuisca l’ansia di qualche anno fa…». L’intensità sarà anche diversa, ma non sono scomparse. «Vedere la South Georgia, visitare la tomba di Schackleton, sentire i pinguini che ti tirano i pantaloni. Come non si fa a sentirsi riscaldare il cuore?». Già, come si fa? Soprattutto se, a queste terre, si guarda da tanto tempo. Se, per anni, si legge dei viaggi «che facevano gli uomini che andavano a caccia di balene», ci si beve dalla prima all’ultima pagina i racconti di chi «si avventurava verso l’ignoto». Manfred comincia a sognare il Sud con l’Antartic Pilot, il portolano edito dall’Ammiragliato inglese. «In quel libro mi ero studiato le coste e le isole, i venti e le temperature degli artici. Ho studiato le fotografie e i disegni, la fauna e la flora. Sono rimasto impressionato nel vedere rilievi di coste fatti nel lontano 1850: in quelle zone in più di cento anni non era cambiato niente…» si legge nel suo ultimo lavoro, il racconto di questo viaggio, che s’intitola «Cinquecento miglia a Sud della Convergenza antartica» e che è in attesa di un editore. «Ho letto Ice Bird, scritto da un medico della Nuova Zelanda di nome David Lewis, il primo navigatore che su una barchetta di 10 metri era riuscito ad arrivare alla stazione antartica della penisola di Palmer. Poi, altri libri, altre storie: Damien, Freydi, Fram, Curlev. Per me la decisione di voler visitare queste terre è maturata circa dieci anni fa, quando trovai un libro scritto da Tim e Carol Carr, Antarctic Oasis, un testo che parlava esclusivamente dell’isola inglese South Georgia, con fotografie mozzafiato. Ero ben a conoscenza di che cosa significava voler recarmi là. Sapevo che avrei dovuto attraversare una parte dei mari più difficili di questo mondo… Ma non m’importava molto di tutto questo, io avevo l’intenzione di visitare la South Georgia…» scrive nel suo libro.

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Torniamo alla realtà. Adesso Manfred è al Pelorinho, il vecchio e colorato quartiere di Salvador de Bahia, 150 metri sopra il livello del mare. È appoggiato alla balaustra, davanti a sé ha la grande baia di Todos los Santos. Vede i traghetti, le navi portacontainer, i cargo che scaricano i loro carichi lungo i moli. Vede i due pontili, le barche a vela ormeggiate. Non riesce a scorgerne le bandiere di rispetto, se non come macchie multicolori, ma per individuare il suo «Maus» non ce n’è bisogno. «Guardo la mia barca con tenerezza, un ultimo dolce sguardo da così lontano prima che l’ascensore mi riporti al livello del mare. E poi a piedi percorrerò le poche centinaia di metri che mi separano dalla mia compagna, con la quale intraprenderò il prossimo viaggio, per realizzare un altro sogno, cullato forse da troppo tempo». Poche centinaia di metri, la politica dei piccoli passi. Manfred il primo passo, piccolino piccolino, scrive di averlo fatto anni fa. Adesso, si tratta soltanto di continuare a «camminare». L’ultima notte non dorme bene, il mare è calmo, nel porto non ci sono movimenti. «Anche se in questi ultimi anni sono salpato spesso, e per lunghi viaggi, questa partenza è per me eccezionale. Vado in zone mai viste, a latitudini che solo a nominarle creano rispetto…».

Schermata 2014-09-24 a 10.40.28Insistiamo. «Il momento magico adesso è arrivato. Sto per mollare gli ormeggi, girare la barca e le spalle verso terra; lo sguardo e lo spirito, ma soprattutto la prua verso orizzonti meravigliosi. Richiami, tristezza, felicità: tutto si mescola in un ammasso di sentimenti indefiniti, che nei primi giorni di navigazione si quieteranno…». È incredibile come la poesia, il pathos dell’attesa si trasformi nel più schietto pragmatismo, una volta salpati. Del resto, non si può mica fare sempre poesia, soprattutto quando si regge il timone e si devono regolare le vele, no? Il «Maus» lascia la baia con randa e yankee a 6,5 nodi. Il vento dopo meno di un’ora cala d’intensità, per lasciare poi spazio a un temporale. Cambia anche di direzione, e non consente a Manfred di mantenere la rotta. Per fortuna, perché c’è il winch di sinistra che non frena… Ora, che fare? Proseguire nel racconto della navigazione, o fermarsi? Accontentiamoci di vivere l’arrivo. Manfred che si avvicina all’isola. E lì, sul radar, ma non riesce ancora a scorgerla, perché celata dalla foschia. Come avrà fatto Shackleton, quasi cent’anni fa, a trovarla? Avanza nell’ovatta. Peccato che il tempo non giochi a suo favore. Va avanti ancora per pochi metri. Un rumore, nell’acqua. Spunta dalla superficie un gruppo di foche, poi i delfini. Finché la nebbia se ne va. «Vedo così, davanti a me, ben oltre le mie fantasie, un paesaggio mozzafiato. Montagne innevate e ghiacciai…». Il pensiero, giunti a questo punto, torna alle righe iniziali di questa storia. Quando Manfred dice che quel che ha gli consente di sopravvivere e di godersi quello che ha sempre sognato. E quando ci fa sapere che i suoi orizzonti restano aperti. «Andrò forse più piano, anziché 120 miglia al giorno ne farò 80. Ma vivrò il mare, il cielo, il sole». Fedele al motto: «Quando il motivo del viaggio non è più l’arrivo, il viaggio stesso diventa la meta». Chi è in errore, noi o lui?

 

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7 commenti su “Ciao Manfred, uomo normale, grande navigatore”

  1. Vincenzo De Stasio

    Ciao Manfred, arrivederci. Appena andrò in pensione comincerò a navigare, come sogno da tempo. Ed il mio sogno si è arricchito, nel tempo, anche con i racconti delle tue navigazioni. Così, quando ti raggiungerò, ci parleremo dei nostri sogni e del nostro navigare. Pace a te

  2. ho conosciuto Manfred ad un nautico genovese. Mi ha autografato Maus. L’entusiasmo e la curiosita’ di in ragazzino. Buon vento!

  3. Ciao Manfred, hai avuto la fortuna di essere un grande tra i naviganti, il tuo navigare non avrà fine, spero di rincontrarti e riprovare quella grande emozione suscitata dai tuoi racconti e che per sempre porterò con me!

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