
Prendendo in prestito un termine abusato quando si parla di calciomercato, potremmo affermare che il più grande “colpo”, in vista della Volvo Ocean Race 2014-15 (che partirà il prossimo 4 ottobre da Alicante, lo hanno realizzato gli spagnoli. Team Espana ha rivelato i nomi dei componenti dell’equipaggio che prenderà parte al giro del mondo a tappe, e su tutti svetta quello di Michel Desjoyeaux, conosciuto come “le Professeur”, uno dei velisti oceanici più forti al mondo (è l’unico ad aver conquistato due volte la vittoria nel Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza scalo). Il francese non è nuovo a questa sfida: questa sarà la sua quarta partecipazione. La sua prima esperienza risale al 1985-86, quando ancora si chiamava Whitbread, a bordo del Cote d’Or capitanato dal mitico Eric Tabarly. Poi partecipò alle edizioni del 1989-90 e 1993-94, seppur per una tappa soltanto. Qualche anno fa, sul numero di marzo 2009 del Giornale della Vela, vi avevamo raccontato la sua storia, che vale la pena di riproporvi:
CHI E’ MICHEL DESJOYEAUX (DAL GDV DI MARZO 2009)
Michel, l’Eroe dal cognome impossibile (Desjoyeaux), è al banco de La Hune (la coffa), il bar-brasserie dei signori Coic, a Port La Forêt. Parla di vela, con l’erre moscia. Anzi, «tonante», il rumore che fa la lingua bretone secondo i francesi. Ora, uno che a 44 anni ha vinto due Vendée Globe, tre Figaro, una Route du Rhum, un’Ostar e una Jacques Vabre – giusto per ricordare alcuni successi – ne avrà da raccontare, no? Anche se, essendo lui un «aremorico» (quelli che vivono davanti al mare, così si chiamavano i celti bretoni, da armor-mare), ma soprattutto un vero marinaio, ci piace pensare che non debba essere propriamente un affabulatore. E che dice Michel? Parla del suo primato nella traversata della «baie». Quella di La Forêt-Fouesnant. La baia davanti a casa sua, insomma. Potrebbe apparire quasi blasfemo. Anzi, una presa per i fondelli. E invece, è una cosa seria. Che può aiutare, forse, a capire meglio il Monumento. Alias le Professeur (copyright Damien Grimont, il vincitore della Mini Transat 1991), per tutti gli appassionati di vela. Aka Mich’ Desj, per i suoi compagni d’Oceano. Primo: in queste acque, l’Eroe è cresciuto e s’è confrontato con gente come Le Cam, Jourdain, Guillemot, Nélias, che hanno fatto di La Forêt – detta per questo “vallée des Fous”, valle dei matti (copyright Olivier de Kersauson) – la capitale dei navigatori solitari. È chiaro che se riesci a metterti il mare in tasca qui, tra tempeste, scogli, maree e avversari di tale calibro, sei pronto per affrontare a testa alta la course au large.
FAMIGLIA E AMICI: I SUOI “FARI”
E poi, l’«effetto faro». Simone Bianchetti, il nostro solitario che era riuscito a guadagnarsi il rispetto dei bretoni, diceva che un navigatore deve sempre avere un faro ad indicargli la via di casa, dandogli un ragione per tornare. E Michel ha il suo personale raggio di luce. Lo riporta dalla moglie Régine, con la quale è «complementare e indissociabile», come dice Grimont, «quando penso a lei, penso a Michel, e viceversa». Lo conduce ai figli Adrien, Jeremie e Tristan, che seguono le imprese di papà sul mappamondo. Lo riavvicina a Henri, il padre, uno dei fondatori di Glénans, che negli Anni Cinquanta si trasferisce a Port La Forêt per aprirvi il primo cantiere navale della regione, dove Michel comincia ad accarezzare le barche. Lo riaccompagna ai fratelli e sorelle, lui ultimo di sette (è la madre May ad educarli, in principio, perché casa è troppo lontana dalla scuola), tra i quali Hubert e Bertrand, che guidano il cantiere Cdk, aperto nel 1983 con Le Cam, dove l’Eroe costruisce i suoi «bolidi»: da PRB, con il quale vinse la sua prima Vendée (2000-01), all’attuale, ugualmente glorioso, Foncia. E ancora, un faro che lo riunisce agli amici del “Pole Finistére Course au large”, la scuola nazionale superiore di vela d’altura, e a quelli di “Mer Agitée”, la sua scuderia, avviata nel 1999, dove prendono forma le imprese – dalla barca agli sponsor – sue e di altri solitari di rango. E poi, la luce che gli fa riabbracciare i quasi tremila abitanti di La Forêt-Fouesnant, che ad ogni vittoria scendono in piazza per festeggiarlo. Vuoi mettere la potenza di questo fascio d’energia? Quando sei laggiù, tra il grigio e il freddo degli Oceani del Sud, è un qualcosa che ti scalda, ti rende più forte. Ti fa meno solo. E ti regala quella serenità, lucidità, equilibrio che ti fanno riguadagnare il porto da dove sei partito. Il primato della «baie», però, sta anche a significare semplicità, sobrietà, umiltà. Tutte doti che fanno il marinaio e che esaltano il campione. Perché le Professeur potrà anche apparire, stante l’algido appellativo, un Monumento, ma in realtà è un uomo. «La sua immagine, quella che incute rispetto e soggezione negli avversari, è quella di un velista intransigente, prima ancora con se stesso, ed esigente» dice ancora Grimont. «È chiaro che a volte è monomaniacale, che non pensa che alla barca. Ma Michel è anche altro: un uomo con amici, che ama mettersi davanti ad una buona bottiglia di vino, cui piace ridere. Non è, insomma, un eremita chiuso nella sua torre d’avorio». Ed è un uomo che piace, a conti fatti. «È nel cuore della gente. La sua immagine arriva bene: è quella di una persona semplice, naturale, politicamente corretta, generosa e aperta verso il prossimo» è sempre l’amico che parla. Una persona che, leggendo una sua mail spedita in questi ultimi tremendi mesi dall’Oceano, ammira tra gli altri – in ordine sparso – Fellini, Tintin, il fotografo Robert Doisneau, Bernard Tapie («che non ha paura di dire quel che pensa»), Jean Todt e il team Ferrari («che possono ripararti l’albero in dieci secondi»), Hitchcock, Bill Gates («non per i suoi soldi, ma per la sua capacità»), Dior e il Papa («che si suppone diffonda la Buona Novella»).
PER MARE DA SEMPRE
Certo, poi c’è anche il campione. «Prima di tutto è un vincente», conferma Eric Coquerel, il suo manager e amico di lunga data. «Non regata per piacere alla gente, regata per vincere. Quando è in gara, è molto calmo, non perde mai il controllo». Proverbiale è la sua conoscenza del mezzo, la pignoleria nella fase di preparazione, il tecnicismo unito ad uno spirito innovativo (sua l’idea della prima chiglia basculante nei Mini), la patente di meteorologo e stratega provetto. Un asso del timone che non scopre mai le sue carte, prima di calarle sul tavolo. Nell’ultima Vendée, tanto per capire, ha guadagnato acqua sugli avversari soltanto di notte, continuando poi a coprirli durante il giorno. Un campione, un uomo che si è fatto da solo. Comincia a prendere confidenza con le barche e il mare, l’abbiamo già detto, col cantiere navale del padre. Va a pescare nell’arcipelago des Glénans, tira bordi nella sua «baie» con tutto quello che gli capita sotto mano: Caravelle, Vaurien, Kid. Passa più ore sull’acqua, con i suoi amici della banda di Cap Coz (Jourdain, Le Cam, Nèlias, Juhel), e con le vele di papà e soprattutto dei clienti di quest’ultimo, che sui banchi di scuola. Nel 1983 aiuta Roland Jourdain a preparare un Muscadet per la Mini Transat, poi le stagioni sul Pen Duick VI di Eric Tabarly e sul trimarano di Philippe Jeantot. A vent’anni, il grande salto nel blu: la Whitbread con la «montagna» bretone. Sì, Tabarly. Il suo maestro. Michel sa rinnovarsi continuamente: nel 1986 i primi Formula 40, poi la Transat en doble con Jean Mauriel, l’Hydroptére di Alain Thébault. E la Solitaire du Figaro, che è il suo colpo di fulmine: nel 1990 è il “premier bizuth”, il miglior esordiente; due anni dopo vince (dieci partecipazioni, altre due vittorie, l’ultima nel 2007). Nello stesso anno porta a casa anche il primato nella Transat Ag2r. La sua carriera, e il suo palmares, da qua, prendono il volo. La consacrazione arriva nel 2001, con la Vendée Globe: polverizza il record precedente, con 93 giorni e 3 ore, lasciandosi sulla scia (25ore) Ellen MacArthur. Poi, torna ai multiscafi, gettandosi a capofitto nel circuito Orma: vince la Route du Rhum nel 2002 (al timone del trimarano Gèant spegne con 8 giorni e 8 ore il sorriso di Francis Joyon, che quattro anni prima aveva impiegato 38 ore più di lui) e l’Ostar nel 2004. In passato, questa doppietta l’aveva messa a segno soltanto Philippe Poupon (1986 e 1988). Al quale, però, è mancato il fiore all’occhiello del giro del mondo non stop.
LE TAPPE DEL TRIONFO
Queste, le fondamenta del Monumento. Vogliamo parlare anche dell’ultima Vendée? Michel parte il 9 novembre da Les Sables d’Olonne, le spiagge delle vacanze di Simenon, con più tela a riva degli altri. Il giorno dopo è in sesta posizione, 9,6 miglia dietro Marc Guillemot, che guida la flotta. A 200 miglia dalla linea di partenza, però, si ferma: l’apparato motore si allaga, salta l’impianto elettrico. L’Eroe chiama terra: «Torno indietro». Il pit-stop è degno del box di Formula 1: uno dei suoi si getta addirittura in acqua, lungo il canale d’uscita del porto, per sbarcare e non fare perdere a Michel un secondo di più. Il 12 novembre l’Eroe ha 451 miglia di distacco dal leader, Jean-Pierre Dick; il 15 le miglia diventano 670. Gara finita? Bisogna aspettare i Quaranta Ruggenti, però, per sentire i suoni della carica. Michel issa la nuova tela, calibrata per gli Oceani del Sud, in Cuben fibre, che tiene raffiche impossibili e si mette a volare. Il 3 dicembre passa al decimo posto, l’8 – un mese dopo la partenza, al traverso di Buona Speranza – è sesto, a 90 miglia da Dick, che fa ancora da apripista. In mezzo all’Indiano, ghiacci in vista, le Professeur schiaccia ancora, da gas sino a 30,44 nodi e copre 466,6 miglia sulle 24 ore. Ma è il 16 dicembre che cambia tutto: Paprec-Virbac collide e Dick esce di scena; Mike Golding lascia l’albero di Ecover 3 in acqua e Mich’ Desj guadagna la prima posizione. Che non lascerà più, avendo ragione di tutte le tempeste e avarie. All’arrivo, il 1° febbraio scorso, ferma il cronometro su 84 giorni 3 ore 9 minuti 8 secondi e polverizza un altro record, quello detenuto da Vincent Riou, che migliora di 3 giorni 7 ore 39 minuti. Super!
«Michel è della stessa tempra di Tabarly: non molla mai» spiega Damien Grimont. «Però, non pensate che sia solamente un tecnico dell’anticiclone e delle depressioni. Lui è sensibile anche alla bellezza delle cose». L’Eroe, il Monumento, le Professeur. Mich’ Desj, insomma, sulla banchina di Les Sables d’Olonne conferma, raccontando l’emozione del traguardo: «È stato incredibile. Stava anche nascendo il sole, ho visto spuntare un piccolo raggio… Un’atmosfera magica». Anche l’alba, ammirandola dal podio della vittoria, appare più bella.