Gian Piero Staffa: a zonzo per vini in Mediterraneo (e poi via in oceano!)
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Vi ricordate di Gian Piero Staffa, che senza alcuna esperienza, in un anno ha percorso 15.000 miglia e attraversato l’Atlantico in solitario due volte (qua sotto trovate il resoconto della sua storia che avevamo pubblicato qualche anno fa)? Ora lo ritroviamo alle prese con una nuova avventura: una “Odissea enoica in Mediterraneo”, un viaggio lungo che da Ravenna lo porterà fino in Turchia e poi oltre le colonne d’Ercole. A tappe, attraverso piccole isole del Mediterraneo dove da millenni si produce vino. Un viaggio alla scoperta di quei mari, di quei vini, di quelle donne/uomini che lavorano duramente contrastando le forze della natura lontani da considerazioni commerciali. Sempre a bordo del suo fidato scudiro, un Amel 54 che Staffa ha chiamato “Now or Never”, ora o mai più.
IO NON TORNO PIU’
Questa è solo la prima parte del suo viaggio (QUI trovate il suo blog, l’ultimo post risale alla visita a Korkula, in Croazia). Spiega Gian Piero: “Nella seconda parte di questa Odissea enoica a tappe con equipaggio ristretto ( due persone fino a Lanzarote) il viaggio diventa qualcosa di altro, di più grande, più riflessivo e più impegnativo di una crociera a tappe. Si perché Lanzarote segna il punto di non ritorno non solo per la barca ma per una intera esistenza. Da lì andrò avanti da solo ancora una volta incontro all’Oceano ma questa volta per non invertire mai più la rotta. Me ne vado per sempre sulla rotta di Colombo per un viaggio senza ritorno. Si perché in Italia c’è la crisi, perché non si riesce a lavorare, perché nella nautica è impossibile trovare una occupazione, ma anche perché la passione del viaggio, della scoperta, del cambiamento non ha età e non finisce a 60 anni. E poi perché l’Oceano da l’assuefazione e laggiù ad Ovest mi aspettano altri viaggi scoperte, avventure. La destinazione finale è Antigua”.
LA STORIA DI GIAN PIERO (DAL GDV DI LUGLIO 2011)
Fino all’anno scorso non era praticamente mai salito su una barca a vela e non sapeva fare un ormeggio. Ancora oggi non sa terzarolare una randa (e non ha nessuna voglia di imparare a farlo), eppure, tempi, ha navigato per 15000 miglia, di cui la metà in solitario, attraversando due volte l’Atlantico da solo: all’andata (dalle Canarie ai Caraibi) e al ritorno (dai Caraibi al Mediterraneo). Gian Piero Staffa, 54 anni di Roma, trapiantato da oltre vent’anni a Bologna dove si occupa di progettazione e marketing nel settore dell’audio professionale, ha realizzato il sogno della sua vita riponendo totale fiducia nella tecnologia sviluppata fino a oggi per le attrezzature e le strumentazioni delle barche a vela. “I velisti, anche quelli che hanno scritto i libri, sostengono che in barca meno apparecchiature ci sono e meglio è, perché quello che non c’è non si rompe”, spiega Staffa. “È vero, ma anche i primi airbag esplodevano e i sistemi abs si rompevano, mente oggi sono affidabili. La tecnologia è indispensabile ed è sbagliato farne a meno, soprattutto se permette di andare in Atlantico in barca a vela a idioti come me”, aggiunge Staffa, che ha un profilo su Facebook che si chiama proprio Atlantic Crossing for Idiots, pur non essendo affatto un idiota. Dall’età di 20 anni ha sempre letto libri e riviste di vela, diventando un grande esperto di teoria: “So come si danno i terzaroli, ma non lo so fare”, ma per nulla di pratica. Le sue esperienze si limitavano a una crociera ai Caraibi nel 2006, con la moglie Mara e i due figli, a bordo di un catamarano charterizzato con skipper e hostess, a un trasferimento in Sardegna, ormai trent’anni fa, con un amico che aveva un Comet 1050 e all’esame della patente nautica presa tre anni fa. Per tutti questi anni Gian Piero Staffa ha coltivato la passione per la vela, intesa come un’idea di viaggio, con il sogno di attraversare l’Atlantico in solitario. “Dopo avere compiuto 50 anni, mi sono reso conto che alcune cose che continuavo a rimandare a domani le dovevo fare ieri. I sogni che avevo nel cassetto hanno iniziato a trasformarsi in ossessioni e mi ha preso il panico”.
COMANDANTE SENZA ESPERIENZA
Staffa cita Oscar Wilde: “L’unico modo per liberarsi di un’ossessione è cedervi”. All’inizio del 2010 ha deciso di prendersi una pausa e ha trovato un Amel 54 che aveva bisogno di un comandante, chiamato Now or Never (ora o mai più): “Era a Varazze e, per portarlo a Ravenna, è venuto con me uno skipper che, solo dopo essere partiti, ha capito la sfortuna che gli era capitata: in barca avrebbe dovuto fare tutto lui. Prima di salpare gli avevo dato l’impressione di avere esperienza, perché a parole sapevo tutto, ma una volta in mare è parso evidente che io non sapessi fare nulla. Ho provato grande imbarazzo, ma alla fine Mario Brunacci è stato il mio vero istruttore”. Ormeggiata (dallo skipper) la barca a Ravenna, Staffa non l’ha toccata per tre settimane. Poi una mattina ha preso coraggio e, con la moglie, ha fatto un piccolo giro davanti a Ravenna. Così è partita l’avventura: “A giugno, con Mara e uno skipper, sono andato a Rovigno e tornato. Poi, ad agosto, sono andato in crociera con la famiglia in Croazia. Dare ancora in rada oppure ormeggiare la barca mi metteva ansia, ma navigare no. Allora ho capito che per attraversare l’Atlantico non c’era bisogno di aspettare un altro anno”. Il 7 ottobre è partito da Ravenna con un amico e, fermandosi prima a Hyères per fare carena e controllare la barca alla base dell’Amel, poi a Torremolinos, il 13 novembre ha raggiunto Lanzarote alle Canarie, da dove, dieci giorni dopo, è partito per la traversata in solitario.
CON L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA
“Quando mia moglie e i miei amici mi hanno mollato le cime a Lanzarote, ho provato una forte emozione”, racconta Staffa. “Per la prima volta in vita mia ero in barca da solo e avevo l’oceano davanti. Non avevo nessuna idea di come sarebbe stato, ma mi sentivo sicuro perché stavo su una barca tecnologica”. Che poi, l’Amel 54 sul quale naviga, è esattamente come lo consegna il cantiere. Quando Staffa parla di barca tecnologica, intende un modello con tutte le moderne attrezzature, montate di serie, che fanno storcere il naso ai velisti esperti e puri, ma che lui trova molto utili: “Ho quasi 55 anni e girare la manovella di un winch è il massimo sforzo che voglio fare, perché non sono uno sportivo o un marinaio. Per me la barca a vela è un mezzo per viaggiare”.
LA BARCA GIUSTA
Staffa, conoscendo i propri limiti, si affida a un’imbarcazione che gli consenta di navigare come e dove vuole. “Deve avere un pozzetto centrale da dove posso manovrare, regolare le vele e controllare la strumentazione. Deve essere un ketch, perché il piano velico frazionato è più facile da gestire di quello di uno sloop, che ha un albero più alto e prima di ridurre vela faccio in tempo a disalberare”. Poi, deve avere una serie di accessori che fa inorridire i puristi: “Genoa, trinchetta e randa devono essere rollabili elettricamente; sono vele con sistemi affidabili anche con vento forte, e tra dieci anni le vedremo su tutte le barche. I winch devono essere motorizzati”. In caso di malfunzionamento o guasto? “Ho il telefono satellitare: una volta ho dovuto effettuare una riparazione, ho chiamato la ditta e il tecnico mi ha indicato cosa fare. In cinque minuti avevo risolto il problema”. Indispensabile il pilota automatico: “Durante le traversate, ho timonato al massimo un’ora. I piloti di oggi possono essere impostati su diversi programmi a seconda del mare e del vento e hanno gli allarmi collegati al Gps”. Se si rompe? “Ne ho due, con le bussole e i sistemi elettronici indipendenti, ma intersecabili. Comunque, dopo 15000 miglia, il secondo non è ancora stato utilizzato”. C’è anche da dire che Staffa naviga con prudenza, perché “non mi corre dietro nessuno, quindi non forzo mai la situazione. La sera mi metto il pigiama, mi infilo sotto il piumone, guardo due film e dormo tutta la notte. In cabina ho la strumentazione visiva degli strumenti che ho in pozzetto e al carteggio: stazione del vento, radar, vhf e AIS. Se suona l’allarme perché sono cambiate bruscamente le condizioni meteo, la barca ha cambiato velocità, è in arrivo un’onda grossa o c’è una nave nei paraggi, in qualsiasi parte della barca mi trovi vedo subito di cosa si tratta”.
LA TECNOLOGIA MI AIUTA
Anche per quel che riguarda le insidie naturali, Staffa si fida della tecnologia: “Le burrasche sono segnalate in anticipo sui programmi meteo. Guardando le previsioni tutti i giorni, è impossibile finirci dentro per sfortuna: si muovono più o meno alla velocità della barca e c’è sempre tempo per evitarle. I groppi, con le tempeste di fulmini, sono letti dal radar”. Se centrano la barca i fulmini bruciano l’elettronica di bordo e sono guai. Non per Staffa: “Su un computer portatile ho configurato il sistema di navigazione con il programma Time Zero della MaxSea. Quando ci sono i fulmini, lo isolo dentro al forno, che è una gabbia di Faraday. Se l’elettronica dovesse bruciarsi, lo collego a un’antenna portatile per continuare a studiare la mia rotta e visualizzare la mia posizione. L’alimentazione ce l’ho assicurata da un generatore di riserva da 700 watt, uno di quelli da bricolage, che con cinque litri di miscela va avanti una vita”.
COMFORT A BORDO
Gian Piero Staffa è abituato alla comoda vita di casa e sa che in mare, quella che sulla terraferma sarebbe una innocua situazione di disagio, dopo 24 ore porta all’insofferenza: “Dopo averla fatta due volte, posso dire che, se non c’è l’aliseo, la traversata atlantica non è la bella passeggiata romantica che tanti raccontano. Andando dalle Canarie ai Caraibi, pur partendo a fine novembre, i primi undici giorni delle tre settimane di navigazione sono stati di bolina con onda lunga. In quelle condizioni la prua sbatte in continuazione, la barca ti scuote e ti devi sempre aggrappare a qualcosa. Mi prende quello che chiamo il maressere, una forma di mal mare che non ti fa vomitare, ma che ti fa passare le giornate senza voglia di fare nulla, tantomeno di cucinare. In barca ho un forno a microonde per riscaldare delle porzioni di zuppa surgelata di lenticchie o ceci così, sforzandomi, riesco a mangiare un pasto ricco di proteine e liquidi”. Staffa, per stare bene in barca durante le lunghe navigazioni, se viene inzuppato da un’onda, si fa la doccia in cabina con l’acqua calda e si asciuga i capelli con il phon. I lupi di mare magari rideranno di lui (anche se quelli che ha incontrato non l’hanno fatto), ma grazie alle comodità e agli accessori tecnologi, in poco più di un anno ha macinato 15000 miglia di navigazione. Non male per uno che fino all’anno scorso non sapeva ormeggiare la barca. “Se ce l’ho fatta io, lo possono fare tutti”, ammette prima di citare Bertrand Russell: “All’uomo possono succedere due cose terribili: non realizzare i sogni e realizzare i sogni”.
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