ANTEPRIMA A bordo di Azzam, il nuovo Volvo 65 di Abu Dhabi
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Poggia cinque gradi e aspetta la raffica, in quindici secondi”. Ian Walker, skipper e timoniere principale di Azzam vigile di fianco a me, è perentorio nel darmi le istruzioni. Azzam sta già navigando alla confortevole velocità di diciotto nodi e poco più, con full main (randa piena) e Fractional Code 0, ovvero un Code Zero che non arriva in testa d’albero, ma poco sopra l’attacco dello strallo. Sono vele ideali per navigare a 115° gradi con il vento apparente. Il mare è quello di Cascais, un Atlantico generoso per gli allenamenti: basta uscire dal porto attorno alle undici per trovare una brezza solida. I quindici secondi sono passati e la raffica, puntuale, arriva. Azzam decolla mentre i tailer aggiustano appena le vele. Il log in pochi secondi è oltre i venticinque nodi, con la ruota bisogna essere leggeri, pochi gradi fanno muovere la poppa su e giù dalle onde. La planata è costante e sembra di portare un derivone. Anzi meglio, perché Azzam trasforma sempre le raffiche in velocità e non in sbandamento e si capisce bene che questa è una andatura turistica… Chiedo quanto hanno raggiunto in allenamento “passati i trenta nodi… ma ci aspettiamo i quaranta con le onde dell’Oceano Indiano”. Quelle onde con effetto muraglia che nei quaranta ruggenti ti inseguono e da cui ti butti in discesa, caricando il ballast di prua, 1200 litri. “Questi Volvo 65 sono più lenti dei 70 della scorsa edizione con venti leggeri, ma sono robusti, li potremo tirare a sangue”. Già… siamo in mare da una mezz’oretta e ho visto tutto l’equipaggio in coperta, tutti impegnati. Come faranno quando i turni saranno di quattro persone? “Saremo solo otto – racconta Walker – e questa volta navigatore e timoniere devono stare in turno, sarà tutto più difficile e demanding, molto atletico”. Saranno i tailer che mi seguono a meraviglia, in fondo ci sono a bordo alcuni tra i migliori professionisti della vela oceanica, ma Azzam mi sembra perfino troppo facile da usare. Certo, se esistesse una barca così per traversare l’Atlantico con la fidanzata e gli amici… Chissà, magari il progresso ce la porterà tra qualche anno.
LA GRANDE BOUCLE DELLA VELA
Il giro del mondo in equipaggio è nato nel 1973, primo sponsor la birreria Whitbread, primo vincitore uno Swan 65 ketch, quasi di serie. A quel tempo planare in oceano era quasi proibito, i record erano quelli stabiliti dai clipper (che detto tra noi andavano anche a 20 nodi costanti), la classifica era a compenso, partecipavano anche piccole barche per gli standard attuali, non si caricavano le stive di liofilizzati ma di prosciutti, i solitari erano dei matti visionari, per la rotta occorreva il sestante. La tecnologia ha ristretto gli oceani fino a farli diventare se non un bastone olimpico perlomeno un grande campo di regata dove le incognite sono tante meno di una volta. Comunicazioni continue, immagini, le barche vengono seguite con cura. La prossima volta sarà un Grande Fratello della vela, con telecamere e cabina di regia a bordo. Un operatore “embedded” avrà il compito di incuriosire il pubblico a terra con cose, clmente, mai viste. La scommessa è il mondo dei giovani, degli skaters, dei blogger da catturare con lo spettacolo della Great Circle Route, l’autostrada antartica che da qualche secolo porta marinai attorno al mondo nelle condizioni più dure. Ci hanno navigato gli esploratori, i mercanti, i galeotti che hanno fondato Australia e Nuova Zelanda. La prossima Volvo Race parte a inizio ottobre da Alicante e arriva a Gothenburg dopo aver toccato 11 porti e percorso 38.739 miglia marine. Trovate tutto il racconto della nostra giornata a borod di Abu Dhabi sul numero di Giugno del Giornale della Vela
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