Tagli il traguardo di una delle più dure edizioni della Mini Transat al secondo posto. Mai nessun italiano aveva fatto bene come te. Dovresti festeggiare, e invece no. Anzi, hai la carogna dentro perché tu, a questa Mini, avevi partecipato per vincere e non ne avevi fatto mistero. Niente spumante, solo una grande incazzatura perché ti chiami Giancarlo Pedote e sei uno che quando si lancia in un’impresa pretende il massimo da se stesso: e se ti si rompe il bompresso a 300 miglia dall’arrivo (su una regata di 3.700 miglia), consentendo al francese Benoît Marie di strapparti la vittoria, non riesci a fartene una ragione. Vi abbiamo presentato in poche righe il punto di forza di Giancarlo Pedote, il solitario che ci ha fatto sognare fino all’ultimo alla Mini Transat: lui è uno che non sa cosa voglia dire “adagiarsi sugli allori”.
VELA AGONISTICA, CHI ERA COSTEI?
Pedote nasce a Firenze nel 1975 da genitori che sono dipendenti pubblici e non possono permettersi di iscrivere loro figlio a una scuola di vela. Però a Giancarlo il mare piace, eccome: “La mia storia con il mare – racconta – è iniziata da bambino. Una delle prime esperienze che ricordo, era il recupero di una bottiglia che mio padre lasciava cadere sul fondo del mare, avevo circa 6 anni. Ma dovetti attendere fino ai 12 anni per avvicinarmi alla vela: mio padre acquistò una pesante tavola a vela con deriva in legno non a scomparsa, dotata di una grande vela triangolare. Ricordo che mi rovinai le braccia a tirarla su e giù”. A 16 anni, Pedote è un buon windsurfista autodidatta che, pur non essendo iscritto ad alcun circolo, si diverte al largo di Follonica a tirar bordi assieme agli amici velisti “popolari”. Nel frattempo sono arrivati gli anni ’90, il Moro di Venezia ha fatto sognare gli italiani e nello Stivale esplode la passione per la vela d’altura: si tratta di un periodo economico tutto sommato solido e le scuole di charter proliferano: il cugino di Giancarlo, Piero, lavora per una di queste e spesso si trova a dover compiere dei trasferimenti: “Mio cugino mi propose di accompagnarlo in un trasferimento di un cabinato dalla Grecia all’Italia. Posso dire che quello fu il mio primo contatto con le lunghe navigazioni: avvenne tardissimo, visto che eravamo nel 1998!”. Nel frattempo Pedote è diventato istruttore di windsurf, professione che svolge part-time per pagarsi gli studi universitari (si laureerà in filosofia nel 2001) e ha mosso i primi passi nel mondo delle derive, sugli Hobie Cat 16. ma il viaggio assieme a Piero cambia la sua concezione di vela: “Venni colpito da quante cose bisognava saper fare a bordo: non devi occuparti soltanto di portare la barca, ma controllare il motore, metterti al tavolo da carteggio, usare correttamente un tester, conoscere ogni singola parte dell’imbarcazione per far fronte a eventuali emergenze. Capii che non bastava essere bravi velisti, ci voleva una buona dose di marineria. Imparai a smontare motori entro e fuoribordo: poiché non avevo mai posseduto un motorino da ‘truccare’ in gioventù fu in barca che compii il mio ‘apprendistato sul campo’ da meccanico”.
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