Oceano 1999 – L’avventura perduta dei fratelli Amoretti: l’Atlantico in auto

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L'avventura perduta dei fratelli Amoretti: l'Atlantico in autoVi ricordate della loro vicenda? A bordo di una Ford Taunus dell’81 e di una Volskwagen Passat dell’87, tre fratelli e un amico hanno sfidato l’Atlantico, assecondando il sogno del padre condannato dal cancro. Un’impresa straordinaria portata a termine da uomini fuori dal comune.
Quattro ragazzi, una Volkswagen Passat dell’87 e una Ford Taunus dell’81, un’incredibile vicenda familiare alle spalle, l’oceano. E’ la storia dei fratelli Marco, Mauro e Fabio Amoretti che, in compagnia di Marcolino De Candia, si sono lanciati in un’avventura senza precedenti percorrendo, a bordo delle due auto riempite di poliuretano espanso, il tratto di mare tra La Palma (la Isla Bonita delle Canarie) e la Martinica.
UNA STORIA DIMENTICATA
Una storia dimenticata, non compresa a fondo dalla stampa e dai media di diciassette anni fa, che si preoccuparono di presentare l’impresa come una moderna Odissea, tra squali, balene e uragani. I fratelli Amoretti sono figli di Giorgio, fotoreporter, una personalità fuori dagli schemi: provocatore, strenuo difensore di cause, spirito libero. Giorgio tentò nel 1978 la traversata oceanica a bordo di quella che lui chiamava “Automare”, un maggiolino Volkswagen pieno di polistirolo, ma fu subito fermato dalle autorità spagnole. Nel 1999, gli viene diagnosticato un tumore maligno. I tre figli e Marcolino, caro amico di famiglia, si mettono a lavorare sodo. Giorgio potrebbe avere i giorni contati e i ragazzi vogliono regalargli un sogno: attraversare a bordo di due “Automare” l’ Atlantico, assieme a loro.
LA PARTENZA
Ma Giorgio si rivela troppo debole per partecipare all’impresa. E’ il 4 maggio del ’99, i primi raggi del sole illuminano l’ossidiana lucida di La Palma: quattro curiosi individui (giovanissimi, a parte Fabio, più che trentenne, figlio dell’unione di Giorgio con la prima compagna Lucia Morellato), dopo aver riempito Passat e Taunus di polistirolo, viveri, strumentazione, e averle dotate di una zattera di salvataggio sul tetto, varano queste altrettanto curiose imbarcazioni. E’ l’alba, momento scelto dagli autonauti per evitare la Guardia Civìl. Le auto proseguono sospinte da due fuoribordo finché non finisce la benzina. I ragazzi non ci pensano due volte:staccano i motori e li guardano sparire negli abissi dell’oceanoIl “motore” da adesso dovrebbe essere un paracadute ascensionale (un altro dei pallini di Amoretti senior), ma il vento instabile e leggero dei primi giorni di autonavigazione lo rende inutilizzabile. Molto meglio un paio di vele, rimediate da chissà quale circolo del Levante ligure, montate alla carlona sul tetto delle auto da Marcolino De Candia. Le due macchine finiscono per ricordare, seppur vagamente, il gommone a vela Zodiac “Hérétique”, su cui il fisico francese Alain Bombard compì una traversata in solitario dalle Canarie alle Barbados, bevendo quantità controllate di acqua e succo di pesce da lui catturato. Un naufrago volontario, in quel lontano 1952, per dimostrare la teoria secondo cui dopo un naufragio si muore più per disperazione che per stenti. Intanto, dopo 10 giorni di brezzoline, le correnti mantengono gli autonauti a poche miglia dalle coste spagnole, facendoli girare in tondo.
“IMBARCHIAMO ACQUA DAL SEDILE DAVANTI!”
Fabio e Mauro decidono di gettare la spugna il 14 maggio. Mal di mare, morale sotto le scarpe e forse la consapevolezza di trovarsi in un ambiente a loro alieno: vengono portati a terra dall’elisoccorso di Tenerife. Marco e Marcolino invece, a bordo di una macchina sull’oceano, si trovano benissimo. In mare sono liberi, privi dai condizionamenti di una società sempre più competitiva e materialista, una società in cui hanno sempre faticato a riconoscersi. Tutto bene fino al 25 maggio, quando saltano i contatti con la terraferma. Il telefono satellitare Imarsat si spegne, forse per il contatto con l’acqua (“imbarchiamo acqua dal sedile davanti!” scrive Amoretti sul diario di bordo), o  per la mancanza di sole, che alimenta le batterie fotovoltaiche (solo energia pulita a “bordo”). I due paiono scomparsi nel nulla. Marco Amoretti, 23 anni, e Marco De Candia, 21, potrebbero aver fatto una brutta fine. “Silenzio dall’Atlantico”, titola il Secolo XIX, e tutta Sarzana (dove si sono stabiliti gli Amoretti) si ritrova in subbuglio. In realtà i ragazzi se la passano alla grande, sono in perfetta sintonia. Marco scrive, Marcolino medita.
IL PAPA’ MUORE
Nel frattempo, il 28 maggio, Giorgio Amoretti muore, e quando il 5 luglio l’Imarsat riprende a funzionare, Serenella Vianello (madre di Marco e Mauro, seconda compagna di Giorgio) decide di non dire nulla a Marco, timorosa che la notizia possa causargli un duro colpo psicologico. Le macchine si rivelano mezzi relativamente sicuri,  Nettuno è magnanimo e le depressioni oceaniche (tra cui l’uragano Emily) risparmiano i ragazzi. Urge un altro parallelo con Alain Bombard, che dopo 53 giorni di navigazione incrociò la nave inglese Arakaka: Amoretti e De Candia incontrano per puro caso la petroliera Chevron Atlantic, il cui comandante si dimostra generoso e lancia in mare numerose provviste recuperate da Marco a nuoto.
LA TERRA SI AVVICINA
Sono al 108° giorno di oceano e l’avvistamento della nave lascia intendere che la terra è vicina. Nel frattempo, Fabio, Mauro e Serenella sono giunti nelle Antille per organizzare l’arrivo delle auto. Sorvolano il tratto di mare antistante la Martinica portando con loro i giornalisti increduli: i due folli danteschi ce la stanno facendo, sono ad un passo dal traguardo. In un contatto radio, Serenella decide di rivelare a Marco la morte del padre, per evitare al ragazzo una terribile delusione a terra. Arrivati a Port Tartane il 31 agosto, dopo 119 giorni in mare, gli autonauti vengono accolti come eroi dai media italiani ed esteri.
CADUTI NELL’OBLIO
Poi, il buio. Troppe cose non piacevano. Troppe cose scomode da ammettere: era possibile attraversare l’Oceano quasi per gioco, con delle macchine sgangherate. Erano riusciti a farlo due ragazzi totalmente estranei al mondo della vela solitaria, privi di conoscenze nautiche, mezzi tecnici e sponsor, peraltro poco dopo la vittoria di Giovanni Soldini alla Around Alone. La stampa locale ligure fu l’unica a giocare su questo contrasto tra modi antitetici di vivere il mare, perché sia Soldini che gli Amoretti erano legati a Sarzana. Oggi, a più di una decina di anni di distanza, le immagini dell’insolito viaggio continuano ad emozionare.Se dopo due lustri possiamo già essere considerati posteri, allora sì, fu vera gloria. (E.R.)
L’AUTOMARE IN OTTO PUNTI
A destra abbiamo ricostruito con uno schizzo, in base alle foto e alle descrizioni dei protagonisti (di progetti preliminari su carta neanche l’ombra, in perfetta linea con lo spirito fai-da-te dell’impresa), una Automare amorettiana. Sono visibili: Paracadute ascensionale. Mai utilizzato nella traversata; Antenna del telefono satellitare Inmarsat, assai costoso nel 1999; Vela di fortuna per mantenere l’assetto (in mare, Marco De Candia ne ha issata più di una); Zattera di salvataggio utilizzata come cuccetta; Pannelli solari (in alternativa posti all’interno attaccati al parabrezza); Bagagliaio interamente occupato da viveri e serbatoi d’acqua; Ancora galleggiante per evitare che la macchina giri su sé stessa; Interno della macchina quasi totalmente riempito con poliuretano espanso.
Tratto dal Giornale della Vela di Aprile 2010

 

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2 commenti su “Oceano 1999 – L’avventura perduta dei fratelli Amoretti: l’Atlantico in auto”

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